“Nel secondo trimestre del 2019 la stima tendenziale delle emissioni dei gas serra prevede un incremento rispetto all’anno precedente, pari allo 0,8% a fronte di una diminuzione del PIL pari a -0,1% rispetto all’anno precedente. Si verifica un disaccoppiamento tra l’andamento delle emissioni e la tendenza dell’indice economico, non troppo confortante perché a un decremento del PIL è associato un incremento delle emissioni di gas serra. L’incremento stimato è principalmente dovuto alla crescita dei consumi di combustibili per la produzione di energia elettrica (4,4%), dovuta prevalentemente alla riduzione della produzione di energia idroelettrica e eolica, mentre risultano in decremento i consumi – e quindi le emissioni – di carburanti nel settore dei trasporti (-0,8%) e di gas naturale nel settore del riscaldamento domestico.” Questo il comunicato stampa dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), l’ente pubblico di ricerca, istituito nel 2008, della cui collaborazione si avvale il Ministero dell’Ambiente per il perseguimento dei compiti istituzionali. “Battiamoci per almeno il 55% di riduzione delle emissioni dei gas serra entro il 2030“. E’ invece l’appello lanciato “per la mobilitazione di tutti” da un gruppo di scienziati, accademici, esperti e giornalisti in previsione dello sciopero del clima 20-27 settembre, affinché tutti i cittadini si mobilitino “contro il riscaldamento globale, la più grande minaccia di questo secolo“. I firmatari propongono una legge d’iniziativa popolare che assuma “la riduzione delle emissioni di CO2, prevedendo a tal fine un fondo speciale per realizzarlo. Un fondo da finanziare da subito con l’abolizione degli incentivi di cui ancora fruiscono, direttamente o indirettamente, i combustibili fossili; e prevedendo per il seguito l’istituzione di una carbon tax“.
Ecco il testo dell’appello che accompagna la raccolta firme:
ALMENO IL 55%!
“La più grande minaccia di questo secolo” – il cambiamento climatico, la transizione all’instabilità climatica – si sta delineando con eventi sempre più drammatici: a luglio scorso il National Snow and Ice Data Center (NSIDC) degli Usa ha rilevato un picco terribile e inatteso nella curva che documenta l’andamento della fusione dei ghiacci artici in Groenlandia. Abbiamo denunciato da gran tempo le conseguenze del cambiamento climatico che si abbatte su uomini e cose con l’intensità degli eventi meteorologici estremi, mentre si estendono le aree desertiche, cresce la siccità, si addensa negli ultimi vent’anni il numero dei massimi di temperatura media della terra. La calotta artica si è spaccata nel 2006 aprendo la caccia senza regole al suo sottosuolo, nel 2017 si è staccato dall’Antartide un “iceberg” più grande della Liguria. Ci siamo battuti documentando e denunciando la più generale crisi ambientale: la devastazione di uno sviluppo fondato sulla spoliazione e il saccheggio delle risorse naturali, come conseguenza del modo capitalistico di produrre e consumare. Esemplare, il nuovo odioso colonialismo del landgrabbing, che attraverso i meccanismi della mera acquisizione di mercato priva intere popolazioni dei loro diritti, delle loro terre e delle loro acque senza dar loro nemmeno la possibilità di essere ascoltati o addirittura attraverso vere e proprie deportazioni. In America Latina, Asia e Africa sempre più grandi foreste, terre comunitarie, bacini fluviali e interi ecosistemi vengono spogliati e le comunità sfollate. Il rogo della foresta amazzonica è l’ultimo drammatico esempio, ammantato di un sovranismo in realtà prono agli interessi delle grandi compagnie agrario-alimentari. La diversità biologica viene costantemente ridotta, la grande barriera corallina australiana è a rischio nei suoi 3000 km. Il respiro degli oceani è soffocato dalla plastica. Abbiamo proposto in tutti questi anni la battaglia a favore dell’ambiente, contro il global warming e per una generale riconversione ecologica dell’economia e della società, come impegno sociale, culturale e morale. La “Laudato si’” di Papa Bergoglio ha messo in risalto gli aspetti umani e spirituali di questa nuova visione. I governi di tutto il mondo, colpevolmente lenti nell’applicare il Protocollo di Kyoto (2005), oggi in ritardo nell’attuare gli impegni dell’Accordo di Parigi ratificati nel 2016 da 180 Paesi, devono accelerare la loro azione per fare più efficacemente fronte al cambiamento climatico e mantenere l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 °C. A pagare lo sconquasso del clima sono soprattutto le popolazioni più povere e vulnerabili, colpite dalle migrazioni interne o dalla fuga disperata dalle loro terre, da fame, sete e malattie endemiche, marginalizzate nei loro territori, spesso nel nome stesso dello sviluppo e dell’innovazione. I rischi dovuti ai disastri ambientali accrescono tensioni e conflitti e nel 2017 hanno causato, da soli, l’esodo di 60 milioni di “rifugiati ambientali”, ma saranno quattro volte tanti nel giro di soli vent’anni. Non si tratta solo dell’accoglienza e della sicurezza. Occorre “costruire ponti”, capaci di ridurre la distanza tra chi ha troppo e chi non ha abbastanza, tra l’opulenza e la povertà, come indicato dagli obiettivi globali dell’Agenda 2030 proposta dalle Nazioni Unite. Occorre modificare i nostri stili di vita e il nostro modo di pensare se vogliamo dare futuro al futuro. Fare di più con meno e trasformare i rifiuti in nuovi prodotti com’è tecnologicamente possibile: “dalla culla alla culla”. Organizzare la società della sufficienza affinché ogni risorsa sia utilizzata senza sprechi e nel modo più appropriato fino all’autogestione. E, da subito, “decarbonizzare” l’economia sostituendo i combustibili fossili con le fonti rinnovabili. Serve, soprattutto, che la cultura della sostenibilità si diffonda nel profondo della società e in tutte le sue attività, in modo che le idee di progresso e di futuro siano fondate sulla continua ricerca del completo equilibrio con i grandi cicli della natura. Oggi finalmente una voce si leva autorevole per imprimere un’accelerazione agli impegni dei Governi, almeno qui in Europa. La neo-presidentessa della Commissione UE, Ursula von der Leyen, ha proposto al Parlamento europeo a Strasburgo l’obiettivo di riduzione del 50-55% di CO2, il gas serra dominante, entro il 2030 facendo così balzare a quel livello il target della UE. E, conseguentemente, di mantenere “un ruolo di guida della UE nei negoziati internazionali per far crescere il livello di ambizione delle altre principali economie entro il 2021”. Come si è verificato lungo tutto il percorso che ha portato all’Accordo di Parigi. Il Governo italiano continua a perseguire un atteggiamento vergognosamente caudatario; infatti, mentre il Quadro per il Clima e l’Energia 2030 della UE prevede, fin dal 2014, la riduzione del 40% delle emissioni di gas serra, ha proposto nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) un obiettivo di solo il 33%. Il PNIEC è stato sottoposto, a decorrere dal 3 agosto scorso, alle osservazioni di tutti i cittadini tramite la Valutazione Ambientale Strategica (VAS). Noi, le associazioni, i comitati e i gruppi che rappresentiamo, faremo senz’altro pervenire le nostre osservazioni entro i 60 giorni previsti dalla procedura di VAS. Riteniamo, però, che debba attuarsi in tutto il Paese la più ampia mobilitazione possibile perché il Piano assuma l’obiettivo di almeno il 55% di riduzione delle emissioni dei gas serra entro il 2030, com’è tecnologicamente possibile. Al di sotto, saremmo come i Paesi di Visegrad nei confronti dell’immigrazione, non a caso le maggiori resistenze alla “decarbonizzazione” provengono da alcuni di loro in nome del miope privilegio degli “interessi nazionali”. E, soprattutto, non saremmo all’altezza della tremenda sfida e delle responsabilità che il cambiamento climatico impone a tutti. Per favorire questa mobilitazione, per dargli il carattere capillare di confronto con cittadini, organi territoriali elettivi, istituzioni e enti pubblici, organizzazioni del lavoro, luoghi di socializzazione, organi di informazione, proponiamo una legge d’iniziativa popolare che assume per l’Italia l’obiettivo di almeno il 55% di riduzione dei gas serra entro il 2030; indica la carbon taxcome mezzo principale per coprire la spesa pubblica finalizzata a quell’obiettivo e abolisce, già dalla prossima legge di stabilità 2021- 2023, ogni forma diretta o indiretta di finanziamento ai combustibili fossili e agli Enti e alle Società che li gestiscono, inclusa la “capacità di generazione” di energia da combustibile fossile. La raccolta di firme per la presentazione della legge può costituire un momento d’informazione e, allo stesso tempo, sollecitare un protagonismo consapevole ed esteso di tutti quale la drammaticità dei tempi richiede. BATTIAMOCI PER “ALMENO IL 55%”!