Non solo il Covid a frenare la crescita delle rinnovabili

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Bisogna volgersi all’indietro e guardare lontano, al terribile 1943. I consumi di energia in queste due settimane di romitaggio sanitario sono crollati del 10-15% in Italia. Un crollo simile fu registrato solamente allora, con il -10% di consumi elettrici in quel 1943 dell’Italia allo sbando.” così scriveva Jacopo Giliberto su Il Sole 24 Ore di venerdì 20 marzo.

Il crollo dei consumi si è immediatamente riverberato anche sulle quotazioni dei vettori energetici. Oltre a quelli del petrolio passato dai 55 $/bbl di Feb20 agli attuali 23 $/bbl un analogo andamento è stato registrato per le quotazioni dell’energia con le quotazioni del PUN (Prezzo Unico Nazionale) passato dai 53 €/MWh di Ott19 ai 32 €/MWh di Mar20 trainato soprattutto dal calo del prezzo del gas europeo.

 

 

 

 

 

 

 

Nell’ambito della generazione abbiamo visto che a risentire di questa situazione sono stati soprattutto gli impianti di produzione termoelettrici anche quelli più moderni, con produzione in ribasso di quasi il 25%, mentre gli impianti alimentati a fonti rinnovabili (FER) hanno mantenuto la produzione stabile o in leggero aumento grazie anche a fattori stagionali.

Tutto ciò, ad una prima e superficiale analisi, potrebbe far pensare ad una possibile ed auspicabile anticipazione del raggiungimento degli obbiettivi del Green New Deal. Ma non è proprio così! La maggior parte degli impianti FER esistenti, infatti, godono ancora di tariffe incentivate  sull’energia prodotta e immessa in rete e ciò li rende del tutto (o comunque in buona parte) indifferenti all’andamento del prezzo dell’energia in rete.  Le forme di incentivazione sono variegate, si va dalle tariffe omnicomprensive ai Certificati Verdi, passando per qualche residuo Cip6 e per i vari Conti Energia sul fotovoltaico. In ogni caso il prezzo dell’energia elettrica immessa in rete da questi impianti è per il momento garantito o “riprotetto” da un minimo riconosciuto da uno dei suddetti meccanismi nonché dal meccanismo stesso del marginal price utilizzato nella Borsa elettrica.

Più complesso è però il discorso per i nuovi impianti FER. Per molti di questi impianti, soprattutto per i più grandi e significativi in termini di produzione e per quelli che non possono più accedere a significative forme di incentivo, la parola d’ordine è Market parity ovvero la perfetta competizione dell’energia immessa in rete senza particolari vantaggi rispetto alle fonti fossili. Solo così possono sperare di entrare e rimanere sul mercato.

Il ragionamento che vogliamo fare non si concentra solo sull’attuale – e speriamo contingente – fase di lockdown, piuttosto vogliamo andare oltre e guardare anche al trend registrato nei mesi immediatamente precedenti che sono maggiormente rappresentativi.

Negli ultimi 12-24 mesi, il finanziamento di alcuni nuovi impianti in Italia e in Europa è stato possibile attraverso i cosiddetti contratti PPA (Power Purchase Agreement) ovvero contratti di vendita dove,  semplificando, un Acquirente (tipicamente un Grossista) garantisce il ritiro dell’energia prodotta da un nuovo impianto FER ad un prezzo minimo prestabilito tra le parti. Attraverso questa garanzia di acquisto e al prezzo certo per un periodo di tempo medio-lungo, è possibile, per l’investitore, impostare un business plan credibile anche per le banche, che potranno finanziare l’investimento con maggiore serenità.

Il DM FER1 dello scorso luglio si è aggiunto per dare un ulteriore stimolo al raggiungimento degli obiettivi del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) con un meccanismo che sostiene e stabilizza nel lungo periodo i prezzi di vendita di impianti FER andando di fatto a garantire e rafforzare la bancabilità di questa tipologia di progetti e di impianti nel lungo periodo.

Fin qui tutto bene ma proviamo a guardare all’interesse che il mercato ha dato già alcuni mesi fa con la prima asta del DM FER1 di Ott19 e assegnata lo scorso gennaio. Possiamo vedere come tutti i 500 MW di incentivi per i nuovi impianti eolici e fotovoltaici siano stati esauriti ed assegnati e con scenari decisamente migliori quando ancora il PUN girava oltre i 50 €/MWh. Il prezzo minimo offerto a ribasso è stato di circa 49 €/MWh su base d’asta 70 su un impianto eolico da ben 84 MW. Difficile pensare che impianti più piccoli possano essere più competitivi.

Con i ribassi dei mesi successivi, tralasciando il ribasso del mese di Marzo dovuto al crollo per l’effetto pandemia, il FER1 diventa assolutamente necessario e quasi l’unico strumento a sostegno delle rinnovabili. È chiaro ed evidente che l’agognata Market Parity degli impianti FER, soprattutto per quelli di taglia media e mediopiccola, si stia allontanando.

Quale sono i rischi connessi al finanziamento di nuovi impianti in un periodo di forte incertezza sui prezzi, tendenzialmente a ribasso insieme ai costi di approvvigionamento dei combustibili oggi arrivati ai minimi storici?

FER ed Efficienza Energetica  hanno sempre avuto un comune nemico: le quotazioni dei combustibili fossili e i prezzi dell’energia da rete.

Cosa potrebbe accadere se l’attuale pandemia dovesse protrarsi nel tempo, magari tra alti e bassi per 12-18 mesi, creando un clima di sfiducia generalizzato per eventuali recidive?

Per certo adesso ci sono temi molto più urgenti e delicati ma rinnovabili e Climate Change non ammettono proroghe e non dobbiamo rischiare di farli cadere nel dimenticatoio.

PS: Da oggi collabora con noi allo sviluppo dei contenuti di questa pagina l’ing. Luciano Burro, mentre alla redazione il futuro ing. Domitilla Diena.