E stato uno dei settori che meglio ha resistito nei mesi più difficile dell’economia italiana colpita – come ovunque nel mondo – dalle ricadute del lockdown. I numeri delle utility nei primi sei mesi dell’anno sono lì a dimostrarlo. Sia le società multiservizio locali (dalla gestione dei rifiuti all’illuminazione pubblica), sia i produttori di energia che i grandi gestori delle reti elettriche e del gas, i bilanci aziendali sono per la stragrande maggioranza in utile e solo in qualche caso hanno denunciato cali di ricavi o di reddittività.
Non tutti i dati sono positivi, ovviamente. Non avrebbero potuto esserlo, vista la frenata dalla produzione industriale che ha chiamato un calo della domanda di energia e di servizi annessi. Lo si vede molto bene alla voce ricavi: complessivamente le utility hanno perso un 16% del giro d’affari rispetto ai primi sei mesi di un anno fa. C’è stato un impatto meno rilevante per le multiutility locali (-7,7%) e molto di più per i produttori (-18,1%). Mentre gli operatori di rete sono andati addirittura controcorrente (+5,5%).
La capacità di fare efficienza tipica di un settore che negli ultimi anni è stato attraversato da un profondo ammodernamento ha consentito di mantenere pressoché inalterato il livello dei profitti rispetto a un anno fa. Con qualche differenza: meglio, in questo caso, i gruppi energetici (+4,5%), un po’ peggio le multiutility (-4,4%).
In crescita per tutti la posizione finanziaria netta, a dimostrazione che il settore ha comunque continuato a investire: +16% le multiutility, +12% le reti, mentre solo i gruppi energetici hanno mostrato un rallentamento (-6%).
Come spiega Marco Carta, amministratore delegato di Agici, c’è un filo conduttore che spiega la bontà dei risultati: “Sono aziende sane che in questi anni si sono dotate di una capacità tecnologica di livello e sono finanziariamente solide. In particolare, possono contare su business regolati, dove gli investimenti godono di una remunerazione certa e questo elemento è un potente stabilizzatore, sia dei ricavi che della reddittività. Teniamo anche conto che sono settori che stanno attraversando grandi cambiamenti e che gli investimenti sono fondamentali: ma avendo una remunerazione certa, garantiscono che il sistema rimanga in salute e proceda nei dovuti modi verso la transizione energetica”.
E come mai le reti sono andate meglio degli altri settori? “Nel loro caso – spiega ancora Carta – la remunerazione è l’elemento centrale, gli operatori esposti al mercato hanno sofferto di più. Il loro nemico, se coì possiamo dire, è all’esterno delle aziende: per contribuire al meglio agli obiettivi di decarbonizzazione, queste aziende avrebbero bisogno di veder ridurre i tempi dei processi autorizzativi e delle pratiche burocratiche. Solo un esempio: per un impianto eolico ci vogliono anche 4-5 anni, bisognerebbe ridurre il tutto a 2 anni al massimo per i progetti più complessi”.