Friday for future è, senza dubbio, il più grande movimento giovanile mondiale di tutti i tempi. Una mobilitazione pacifica e politicamente trasversale che attraversa tutti gli strati sociali, che parte dai giovani ma coinvolge ogni persona ragionevole, che grazie alla figura di Greta Thunberg sta entrando nelle case e negli spazi decisionali di ogni nazione, specialmente di quelle occidentali.
Un articolo che ho letto pochi giorni fa abbozzava un parallelo interessante tra l’atteggiamento da parte della classe dirigente e degli adulti verso i movimenti politici del ’68, unico esempio mondiale precedente di mobilitazione giovanile di massa, e quelli verso i movimenti ambientalisti attuali. A giudicare allora c’erano da un lato i reazionari che vedevano i giovani hippie come un gruppo di facinorosi degenerati e dall’altro gli accondiscendenti che, guardando di buon occhio alcune richieste, ritenevano che la tolleranza avrebbe ricondotto i giovani nei “ranghi”, qualcun’altro nel frattempo utilizzava l’immagine e gli slogan del movimento a scopo commerciale. Un movimento eterogeneo, confuso e non organizzato che nessuno prendeva però sul serio aiutando i giovani in un percorso di maturazione politica. Una conseguenza fu che alla fine del periodo “spontaneo” molti di questi giovani, soprattutto quelli che si sentirono sconfitti nella Primavera di Praga o nelle foreste del Vietnam, abbandonarono la politica attiva o confluirono in movimenti rivoluzionari violenti.
Oggi i nostri giovani, mobilitati a difesa del loro diritto ad un ambiente migliore, confusi da slogan e previsioni catastrofiche, ma contemporaneamente pervasi dalle abitudini della società consumistica in cui sono cresciuti, vengono derisi dai negazionisti che, ad arte, tendono a denigrare la figura di Greta Thunberg, usandola come paradigma delle contraddizioni del movimento, o vengono coccolati dai media che li usano per coniare i loro bei titoli sui venerdì di protesta e la nuova coscienza ambientalista, nel frattempo le multinazionali fanno i conti su come gestire la transizione a proprio favore, mentre gli intellettuali e i leader politici si interrogano sulla natura dello stato “etico”. I discorsi seri e circostanziati sono invece relegati nei consessi di specialisti, nelle aule universitarie o nei dibattiti di tarda serata perché non bisogna turbare la massa dei consumatori.
I cambiamenti climatici sono figli dei nostri comportamenti e stanno prepotentemente entrando nelle valutazioni economiche delle Aziende e nei bilanci degli Stati. Emigrazione di massa, uragani, desertificazione, sono solo alcuni degli aspetti a cui seguiranno conseguenze economiche e cambiamenti sociali. Scenari apocalittici vedono la riduzione degli spazi vivibili e delle risorse indispensabili alla sopravvivenza, ma ancora prima ci saranno miscelazione di culture in fuga da aree ormai invivibili e conflitti per la difesa del territorio. In questo scenario potrebbe innestarsi una forma di protesta radicalizzata e violenta da parte di chi si è sentito privato dalla speranza a causa dell’inerzia delle Istituzioni.
I giovani – ma anche chi giovane non è più – hanno il diritto e il dovere di protestare e di chiedere consapevolezza e non più parole. Prima si attuerà un piano di azione concreto sui temi ambientali, che incida anche sui nostri comportamenti, e prima si comincerà a combattere seriamente per un mondo migliore.
Figli e genitori insieme, questa volta dalla stessa parte della barricata. Non c’è un giorno migliore degli altri per cominciare, ma ogni giorno è quello giusto. Come ho già detto altrove, questa volta non ci sono rivincite.