Biden si muove da subito per far rientrare gli USA tra i Paesi virtuosi nella lotta ai cambiamenti climatici

(Fonte: ilpost.it, 28/01/2021)

Il nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato ieri una serie di ordini esecutivi legati alla protezione dell’ambiente e al contrasto al cambiamento climatico: due temi assai trascurati dal suo predecessore Donald Trump, noto negazionista del cambiamento climatico nonché molto vicino al settore delle estrazioni petrolifere. Da settimane Biden ripete che la sostenibilità ambientale sarà una delle priorità del suo mandato: gli ordini esecutivi di ieri sono solo un primo passo, ma gli ambientalisti e gli economisti hanno giudicato favorevolmente la sua decisione.

Negli ordini esecutivi di ieri ci sono una serie di misure molto diverse fra loro, fra cui anche la nomina dell’ex segretario di stato John Kerry a inviato speciale per il clima. La misura più importante però riguarda i permessi per trivellare il territorio federale alla ricerca di petrolio e gas naturale: mentre Trump aveva aperto la possibilità di trivellare la stragrande maggioranza del territorio federale, con l’ordine di ieri Biden ha chiesto di rivedere le richieste per ottenere un permesso considerate più rischiose per il clima, ponendo le basi per smettere del tutto di garantire nuovi permessi, in un futuro prossimo.

Secondo il New York Times gli ambientalisti statunitensi chiedono da tempo di sospendere i permessi per estrarre petrolio e gas naturale dal territorio federale, che spesso occupa parchi e aree naturali che rischiano di essere compromesse dalle operazioni di estrazione. Secondo l’ong statunitense Oceania una decisione ancora più ambiziosa, per esempio la cancellazione di tutti i nuovi permessi, eviterebbe la diffusione di 19 miliardi di tonnellate di gas serra nei prossimi anni.

Nella serie di ordini esecutivi firmati ieri ci sono anche misure più simboliche ma significative per capire la direzione in cui si sta muovendo Biden, come l’impegno a comprare mezzi di trasporto a zero emissioni nette per gli organi statali e federali, e una task force nazionale sul cambiamento climatico. Nel documento che contiene gli ordini esecutivi è contenuta per quindici volte la parola “lavoro”, e Biden ha annunciato che con le misure che proporrà la sua amministrazione – fra cui un pacchetto di investimenti nelle infrastrutture sostenibili – creerà «un milione di posti di lavoro “verdi”». Diversi economisti dubitano che siano cifre plausibili, ma hanno lodato l’intenzione di Biden di investire nella riconversione di alcuni lavori ormai obsoleti.

Né Biden né Kerry hanno fornito ulteriori dettagli sulla misura più importante presa fin qui dall’amministrazione Biden sul cambiamento climatico, cioè il reintegro degli Stati Uniti nell’accordo di Parigi sul clima dopo alcuni anni di allontanamento decisi da Trump. Il predecessore di Trump, Barack Obama, era stato fra i principali promotori dell’accordo e si era impegnato a ridurre entro il 2020 le emissioni nette del 28 per cento rispetto ai livelli del 2005. Gli esperti di ambiente stimano che Biden potrebbe annunciare un taglio del 40 o del 50 per cento rispetto ai livelli del 2005: i nuovi obiettivi dovrebbero essere annunciati ad aprile.

Energie rinnovabili, le previsioni di Bloomberg per il 2021

(Fonte: nextville.it, Filippo Franchetto, 22/01/2021)

Nell’anno in corso le rinnovabili (in particolare eolico e fotovoltaico) sono destinate a crescere a ritmi sostenuti, mentre prosegue inarrestabile la diffusione dei veicoli elettrici.

Queste sono solo alcune delle 10 previsioni per il 2021 sull’evoluzione del settore energetico, realizzate dagli analisti di Bloomberg New Energy Finance (BNEF).

Le stime sono particolarmente buone per il fotovoltaico: quest’anno le nuove installazioni solari potrebbero superare per la prima volta i 150 GW, dopo un 2020 che (con 132 GW) è stato comunque in grado di battere i precedenti record, nonostante tutte le difficoltà imposte dal coronavirus. Prevista anche l’ennesima discesa del prezzo dei moduli, che scenderanno da una media di 20 centesimi di dollaro per Watt a circa 18 centesimi.

Anche l’eolico vedrà un ottimo 2021, con complessivi 84 GW di nuova capacità installata, di cui la maggior parte (75 GW) onshore. L’installato in Europa ammonterà a circa 20 GW, 5 GW in più rispetto al precedente record, e contribuirà — assieme alle nuove installazioni nel continente americano — a compensare largamente il calo previsto in Cina.

Meritano, infine, di essere citate le previsioni sulla diffusione della mobilità elettrica. Gli analisti di BNEF stimano che nel 2021 saranno venduti a livello globale circa 4,4 milioni di veicoli elettrici per passeggeri, con un aumento di circa il 60% rispetto al 2020. Di primaria importanza sarà il mercato europeo, dove nell’anno in corso i veicoli elettrici potrebbero rappresentare il 14-18% delle vendite di veicoli leggeri, pari a circa 1,9 milioni di unità, seguito a breve distanza dalla Cina (1,7 milioni).

Il valore dell’idrogeno va oltre il mero costo di produzione

(Fonte: huffingtonpost, 05/01/2021)

In seguito alla decisione della Commissione Europea di lanciare una nuova strategia europea per l’idrogeno si stanno moltiplicando i commenti più disparati e contrastanti sull’idrogeno e sulle prospettive economiche e di mercato che apre. Vale la pena riassumere alcune critiche per misurarne la consistenza.

Richiede troppa elettricità rinnovabile?

Secondo alcuni commenti, l’idrogeno non può rappresentare una valida alternativa all’attuale sistema di trasporto basato sugli idrocarburi perché richiederebbe quantità eccessive di energia rinnovabile per essere prodotto. Si cita ad esempio il fatto che per fornire idrogeno per la mobilità bisognerebbe costruire nuovi parchi eolici delle dimensioni della Danimarca. Ebbene, non vedo dove sia il problema. In realtà l’insieme dei territori sacrificati al vecchio modello fossile – fra raffinerie, gasdotti, oleodotti, centrali di depressurizzazione e parchi minerari – è già oggi di gran lunga superiore alla Danimarca, ma su questi impianti non si è mai sentita levarsi alcuna voce critica. Invece non appena irrompono sulla scena della produzione energetica le rinnovabili, improvvisamente si scopre una grande attenzione allo spreco di territorio.

Per non parlare del fatto che gli impianti rinnovabili occuperanno anche spazio ma non comportano pericoli di inquinamento e cambiamento climatico, mentre quelli fossili sì. E comunque i piani energetici locali possono incoraggiare un modello distribuito di piccoli impianti sui tetti in rete fra di loro anziché di grandi impianti centralizzati con consumo di suolo. Infine si fa strada l’agrifotovoltaico che permette di coltivare sotto i sostegni dei pannelli.

Comporta uno spreco?

In realtà ci sono eccessive quantità di energia rinnovabile che vanno sprecate o non vengono neanche prodotte, come è il caso degli impianti eolici nel Subappenino Dauno che vengono fermati quando più forte è il vento, perché altrimenti la loro produzione di elettricità manderebbe in sovraccarico la rete. Se vi fossero dei sistemi di accumulo tramite l’idrogeno in corrispondenza di questi impianti, quell’energia potrebbe essere prodotta, accumulata e poi immessa in rete gradualmente quando gli impianti sono fermi, e così la produzione eolica verrebbe massimizzata. Stessa cosa vale per gli impianti fotovoltaici.

Quindi per produrre idrogeno, prima di cominciare a pensare alla costruzione di nuovi impianti, sarebbe consigliabile verificare i margini di sfruttamento ulteriore di quelli esistenti. Poi è ovvio che bisognerà, in una prospettiva di più lungo termine, pensare anche a nuovi impianti. La strategia europea per l’idrogeno, infatti, ipotizza che entro il 2030 sarà necessario installare più di 40 GW di elettrolizzatori per produrre idrogeno verde da fonti rinnovabili e dagli 80 ai 120 gigawatt di solare ed eolico supplementari per un investimento variabile da 220 a 340 miliardi di euro. Obiettivi coerenti al raggiungimento, proposto sempre dalla stessa strategia, di 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde entro il 2030. Del resto non dobbiamo mai dimenticare che l’aumento della quota di energia prodotta da impianti rinnovabili, lungi dall’essere un inconveniente, è l’essenza stessa della strategia europea del Green Deal che, tramite il principio della transizione energetica dal fossile alle rinnovabili, mira a una totale decarbonizzazione entro il 2050.

Le auto a idrogeno sono poco efficienti e troppo costose?

Un’altra osservazione critica molto comune è che le auto a idrogeno sarebbero poco efficienti e anti economiche rispetto a quelle a batteria e che conseguentemente non decolleranno mai mentre l’idrogeno rimarrà limitato ai grandi mezzi (camion, treni, grandi navi), come dimostrerebbe l’abbandono del progetto di auto a idrogeno da parte della Daimler. Ma le auto a idrogeno funzionano benissimo e non hanno nessun problema tecnologico. É vero che i costi delle fuel cell per l’automotive sono ancora esorbitanti, ma sono in rapida discesa e se si creassero le economie di scala di un mercato di massa rientrerebbero rapidamente in parametri accettabili sul mercato. Inoltre il costo delle batterie non è inferiore se si considera che hanno un ciclo di vita limitatissimo e bisogna sostituirle più volte nel ciclo di vita di una sola fuel cell.

Per creare le necessarie economie di scala c’è inoltre bisogno di una infrastruttura di distribuzione e rifornimento adeguata. E per realizzarla devono venir rimosse le barriere burocratiche e amministrative attualmente imposte all’installazione dei distributori. É necessario l’adattamento della direttiva europea per i carburanti alternativi (cosiddetta DAFI o Directive on Alternative Fuels Infrastructure) ai distributori di idrogeno, come già previsto dall’Europa.

E se è vero che la Daimler ha sospeso il suo progetto di auto a idrogeno, tanti altri costruttori come la stessa BMW continuano invece a progettare modelli a idrogeno. Proprio la Germania, con la sua “Nationale Wasserstoff Strategie”, prevede incentivi per oltre 7 miliardi di euro per l’installazione di una rete autostradale di distributori e l’acquisto di veicoli a idrogeno. Vorrà dire che i tedeschi li compreranno da BMW, Toyota, Honda, Hundai, GM, e non da Daimler.

Il 2020 ha segnato l’anno più green per l’Inghilterra

(Fonte: tech.everyeye.it, Salvo Privitera, 01/01/2021)

Sabato scorso, secondo quanto riportato dall’Agence France-Presse, l’energia eolica ha rappresentato oltre la metà dell’elettricità generata in un giorno dalla Gran Bretagna. Esattamente il 50,67%, battendo il precedente record del 50%.

Questa è la prima volta in assoluto il vento ha fornito la maggior parte dell’energia del paese nel corso di un’intera giornata“, afferma su Twitter il Drax Group, una compagnia britannica di energia elettrica. La notizia arriva prima della COP26, il vertice globale delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, che si terrà a Glasgow il prossimo anno.

Certo, tutta questa energia è stata accumulata durante la tempesta Bella, ma rappresenta comunque una grande vittoria per l’energia rinnovabile e, soprattutto, “green”. La Gran Bretagna, infatti, entro il 2030 vuole che i parchi eolici forniscano un terzo dell’elettricità del paese, così da raggiungere zero emissioni nette di carbonio entro il 2050.

Le buone notizie non finiscono di certo qui. La divisione NGESO (Electricity System Operator) di National Grid ha dichiarato che il 2020 è stato l’anno più verde mai registrato per il sistema elettrico britannico, con l’intensità media di carbonio (le emissioni di CO2 per unità di elettricità consumata) che ha raggiunto un nuovo minimo.

A Natale, il 25 dicembre, la quota di carbone nel mix elettrico del Regno Unitosi è attestata a zero per la prima volta. Insomma, sicuramente siamo sulla buona strada per iniziare a emettere meno CO2 nei prossimi anni… ma il cammino è ancora molto lungo e pieno di ostacoli. Il 2021, tuttavia, sembra essere un po’ meno buio.

Idrogeno verde e idrogeno blu, facciamo chiarezza
(Fonte: brunoleoni.it, Carlo Stagnaro, 12/11/2020)
Nella strategia italiana sull’idrogeno ci sarà spazio solo per quello verde: è una scelta saggia?

Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli ha detto al Senato che, nella strategia italiana sull’idrogeno, ci sarà spazio solo per quello verde (cioè da rinnovabili) e non per quello blu (di origine fossile con cattura della CO2). È una scelta saggia? Vediamo.

Premessa 1: l’idrogeno può sostituire i combustibili fossili in diversi utilizzi finali (tra cui vari processi industriali gas-intensive, trasporti e usi civili), in forma pura o in blending col metano.

Premessa 2: Purtroppo, con le tecnologie attuali l’idrogeno è scarsamente competitivo, anche considerando prezzi della CO, relativamente alti. A livello Ue c’è una forte spinta, quindi si parla giocoforza di incentivi.

Premessa 3.1: Si può produrre idrogeno a partire dalle fonti fossili (separandolo dal carbonio, per esempio nel metano CH4) oppure dall’acqua (separandolo dall’ossigeno H20). In entrambi i casi serve energia. Inoltre, l’idrogeno di fonte fossile ha la CO, come prodotto di scarto.

Premessa 3.2: Per distinguere si usano i colori. A noi interessano l’idrogeno verde (prodotto tramite elettrolisi dell’H20 con energia generata da fonti rinnovabili) e blu (ottenuto dal CH4 con la cattura e stoccaggio della CO2). Entriamo, dunque, nel merito: Patuanelli ha bollato come “greenwashing” l’idrogeno blu, sposando invece la causa dell’idrogeno verde. Sulla base di cosa? Questa è forse la parte più incredibile, ma ci arriviamo dopo. Prima stiamo al merito.

L’idrogeno verde è una splendida idea ma, attualmente e nel futuro prevedibile, ha costi spropositati. Le stesse stime della Commissione Ue mostrano un gap di costo tra l’idrogeno verde e blu notevole (e ancora di più tra l’idrogeno e il gas). Inoltre, la Commissione ritiene che l’idrogeno verde diventerà competitivo (con quello blu) attorno al 2030 (ricordatevi questa data).

Oltre ai costi, c’è da tenere conto del contesto di mercato. In un paese come l’Italia, la priorità delle fonti rinnovabili dovrebbe essere la decarbonizzazione dell’energia elettrica in rete: utilizzarne parte per produrre H2 rischia di “cannibalizzare” questo obiettivo. Tra l’altro, ciò avrebbe un impatto ambientale tutt’altro che ovvio: un MWh di energia rinnovabile immessa in rete spiazza emissioni di CO, probabilmente maggiori rispetto a quanto accade se la stessa energia viene impiegata per produrre H2 verde anziché blu.

Da ultimo, l’Italia è all’avanguardia nelle tecnologie di stoccaggio della CO, e, quindi, si trova nella condizione ideale per investire sullo sviluppo della Ccs/U (carbon capture and sequestration / utilization). La Ccs/U è fondamentale per minimizzare (ancorché non annullare) la CO, derivante dall’utilizzo di combustibili fossili. Potrebbe quindi aiutare ad abbattere le emissioni senza dover sostituire un immenso stock di capitale.

Avrebbe senso mantenere aperte tutte le strade: se incentivo dev’essere, sia per l’idrogeno di qualsiasi colore (al limite non il grigio). Naturalmente l’incentivo può essere differenziato in funzione del contenuto di carbonio.

Patuanelli ha scelto altrimenti. Ha stabilito che l’Italia diventi l’hub dell’idrogeno per l’Eurasia. Alle perplessità espresse dal senatore Paolo Arrigoni, Patuanelli ha replicato esplicitando il criterio con cui ha deciso. Cosa ha risposto il Ministro? Qui viene l’osservazione di metodo, che è per certi versi ancora più importante del merito.

Cito testualmente quanto detto da Patuanelli in una sede istituzionale (fonte v. Staffetta 10/11). Primo: secondo l’a.d. di Enel Francesco Starace, l’H2 verde sarà competitivo in 3-5 anni. È possibile: certamente l’ad dell'(ex) monopolista elettrico ha informazioni affidabili e di prima mano. Nondimeno, è un outlier: il consenso è su un orizzonte più lungo (attorno al 2030, come detto). Domanda: ha senso che un paese affidi la sua strategia su un tema tanto delicato e importante (visto il ruolo che l’idrogeno ha nel Piano energia e clima) a una previsione così tanto, diciamo, ottimistica? Ripeto: è ben possibile che ex post abbia ragione Starace. Ma ex ante ne siamo certi? Se la previsione si rivelasse sbagliata chi ne pagherebbe il costo? E ha senso abbandonare tecnologie alternative sulla base di una simile scommessa?

Secondo punto: è normale o accettabile che il ministro dello Sviluppo economico impegni il Governo su una linea di politica industriale sulla base di “una chiamata fatta ieri” col capo di un’azienda a controllo pubblico? La questione è tanto più grave perché non solo Patuanelli dice di agire sulla base dei suggerimenti di Starace, ma una consigliera di amministrazione dell’Enel, Mariana Mazzucato, è consigliera del presidente del Consiglio Giuseppe Conte sugli stessi temi. Dunque: è Enel a dettare la politica energetica del governo?

La domanda investe anche il M5S, di cui Patuanelli è espressione, visto che si è sempre intestato la battaglia contro i conflitti di interesse. Nel passato ho spesso evidenziato che uno dei problemi del controllo statale sulle imprese è la maggiore capacità di catturare i regolatori, facendo prevalere l’interesse aziendale su quello generale. Non credevo, però, ne avrei visto un esempio tanto chiaro e netto.

Anche il negazionista Trump promette impegno nella transizione energetica, ma è solo campagna elettorale?

(Fonte: insideevs, Francesco Barontini, 30/09/2020)

Lo scontro Trump-Biden si gioca anche sull’auto elettrica. Durante il primo confronto televisivo tra l’attuale presidente degli Stati Uniti e il candidato democratico, tra un colpo basso e l’altro, si è parlato infatti anche di eMobility.

Joe Biden ha fatto della transizione energetica uno dei punti cardine della propria politica nel caso fosse eletto, mentre Trump, dal momento in cui si è insediato ad oggi, non ha certo prestato particolare attenzione alla mobilità a zero emissioni e alle tematiche ambientali.

Trump ora è pro elettrico?

Ieri sera, però, interrogato sul tema, ha detto di credere nelle auto elettriche e, addirittura, di aver concesso consistenti incentivi per l’acquisto di vetture a basso impatto ambientale. In molti però Oltreoceano si sono chiesti a cosa si riferisse.

L’amministrazione Trump ha lasciato in vigore il bonus di 7.500 euro sulle EV risalente al 2008 (misura prevista all’interno di un provvedimento su “Energy Improvement and Extension” firmato addirittura da Bush e successivamente legato ai nomi di Obama e proprio di Biden, che di Obama fu vicepresidente). Ma a questo nulla ha aggiunto, anzi.

A guardare i fatti, Trump ha in effetti spesso messo in atto iniziative per smontare i piani di Obama a sostegno dell’ambiente, inclusi quelli su generazione elettrica e carbone. Tra le mosse più evidenti di una politica poco orientata al green, da citare, l’uscita degli Usa dall’accordo sul clima di Parigi.

Il piano di Biden

L’impegno di Joe Biden per combattere il cambiamento climatico ha radici profonde. È dalla metà degli Anni ’80 che il candidato democratico sostiene la necessità di ridurre la dipendenza dal carbone e nel suo programma ha dichiarato di voler stanziare la bellezza di 1.700 miliardi di dollari per portare gli Stati Uniti ad utilizzare solo fonti rinnovabili entro il 2050.

L’iniziativa, dal (troppo?) roboante titolo Clean Energy Revolution, prevede anche l’installazione di mezzo milione di colonninedi ricarica entro il 2030, un fondo a sostegno della ricerca su temi green e la riallocazione dei sussidi da iniziative legate a fonti di origine fossile ad altre meno impattanti per l’ambiente (un po’ come l’ipotesi “anti diesel” di cui si parla anche da noi), incluso il nucleare di nuova generazione. Settore quello della fusione in cui come abbiamo visto la ricerca in Italia ha ben pochi rivali.

 

Cresce la percentuale di energia rinnovabile a livello mondiale

(Fonte: notiziescientifiche)

È record per l’energia solare e per quella eolica: nel 2020 i due comparti hanno prodotto il 10% dell’elettricità livello globale ed in parte ciò è dovuto al funzionamento limitato delle centrali a carbone a livello mondiale secondo quanto riporta alla AFP che ha intervistato Dave Jones, un analista del settore.
Secondo Jones, la crescita dal 2015 ad oggi delle energie rinnovabili è “incredibile”, soprattutto per quanto riguarda l’eolico e il solare.
Secondo l’analista sono diverse le principali economie mondiali, tra cui Stati Uniti, Cina, India, Brasile, Giappone Turchia, che ricavano da solare ed eolico almeno il 10% del loro fabbisogno di elettricità. Ad essere ancora più avanzato in tal senso è l’Unione Europea che fa derivare dalle energie rinnovabili ben il 33% del proprio fabbisogno.

La percentuale di energia ricavata dall’eolico e dal solare è passata dal 4,6% nel 2015 al 10% in questa prima parte del 2020. E questo nonostante la stessa Cina abbia solo leggermente ridotto la produzione del carbone, una riduzione però sostanzialmente dovuta alla pandemia di COVID-19, non ad una scelta precisa di tipo governativo.
Tuttavia il livello di utilizzo delle rinnovabili al momento risulta ancora non abbastanza veloce se si vuole raggiungere l’obiettivo dell’aumento della temperatura globale di 1,5° centigradi imposto dagli obiettivi di Parigi. L’unico modo per arrivare all’obiettivo è di utilizzare meno combustibili fossili in ogni campo, secondo l’analista.

I dati ambientali riportati dall’Annuario ISPRA

Luci e ombre nell’annuario ISPRA 2019 sulla situazione ambientale in Italia. Se da un lato si rivela un calo delle emissioni, dall’altro la temperatura media in Italia nel 2018 è cresciuta quasi del doppio rispetto alla crescita mondiale, 1,71°C contro 0,98°C.

Il Bacino padano è stato classificato una delle aree con maggior inquinamento atmosferico in Europa. I dati del 2019 riportano un eccesso del limite giornaliero del PM10 (particolato costituito principalmente da fumo e polveri contenuti nell’atmosfera) nel 21% delle stazioni di monitoraggio.

Nel periodo di lockdown causato dal Covid-19 i livelli di biossido di azoto NO2, si sono abbassati del 40- 50% nel Nord Italia e nella Pianura padana.

Un’altra importante preoccupazione a livello mondiale sono i pesticidi.
L’Ue è al secondo posto dopo la Cina per produzione di sostanze chimiche.
In Europa invece l’Italia è il terzo produttore, dopo Germania e Francia. I dati ci riportano che nelle acque superficiali il 24% delle aree controllate e monitorate mostra concentrazioni che eccedono il limite di qualità ambientale. Nelle acque sotterranee la percentuale è del 6%.

Fra il 2017 e il 2018 in Italia il consumo del suolo è avanzato di 2 metri quadri al secondo cementificando o asfaltando 23.000 km2. Nel 2018 a causa di una probabile congiuntura economica il consumo del suolo ha ripreso a crescere nonostante i dati mostrassero dei segnali di allentamento. Nello stesso anno è stato sottratto il 2% delle aree protette. Il nostro paese è difatti esposto al dissesto idrogeologico e gli abitanti a rischio frane, che risiedono nelle aree a pericolosità elevata, sono il 2,2% del totale.

https://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/stato-dellambiente/annuario-dei-dati-ambientali-edizione-2019