ENI prevede per il 2025 il primo impianto sperimentale di fusione nucleare

(Fonte: agi.it, 08/09/2021) L’annuncio di Eni del primo test al mondo del magnete con tecnologia superconduttiva Hts, condotto con successo insieme con Cfs (societa’ spin-out del Massachusetts Institute of Technology di cui Eni e’ il maggiore azionista) punta i riflettori su una fonte di energia sicura, sostenibile e inesauribile che riprodurra’ i principi alla base della generazione dell’energia solare e che rappresenta quindi una svolta nel percorso di decarbonizzazione. Ecco nel dettaglio di che cosa si tratta.

Il test

Nel corso del test il magnete toroidale, dal peso di circa 10 tonnellate, raffreddato con elio liquido a una temperatura di circa – 253.15°C (20 gradi sopra allo zero assoluto) è stato energizzato con una corrente elettrica di intensità crescente, fino a 40.000 Amper, per periodi di tempo prefissati e in diverse condizioni di funzionamento, sviluppando un campo magnetico di elevatissima intensità, fino a 20 tesla (T).Tali campi magnetici non si sarebbero ottenuti con l’utilizzo di materiali tradizionali come il rame o superconduttori Lts (Low Temperature Superconductors) che si sarebbero danneggiati per il calore generato. Il risultato è stato raggiunto grazie alle proprietà dei superconduttori Hts (Rebco – Rare Earth Barium Copper Oxide) che compongono la parte attiva del magnete, che sono in grado di raggiungere perfomance molto più elevate in termini di campo magnetico associato.

Il test ha dimostrato la possibilità di mantenere il magnete nel regime di superconduzione con un’elevata stabilità di tutti i parametri fondamentali per il suo impiego in un futuro impianto dimostrativo Il test ha, inoltre, generato una ingente mole di dati che saranno oggetto di analisi approfondite nel corso dei prossimi mesi. La tecnologia Hts si basa sulle scoperte che hanno portato Johannes Georg Bednorz e Karl Alexander Müller al Premio Nobel per la fisica nel 1987, ma solo recentemente la disponibilità commerciale di nastri Hts ha portato al loro utilizzo nei supermagneti.

La tecnologia

Nel processo di fissione nucleare i legami tra le particelle dei nuclei del combustibile, solitamente costituito da isotopi dell’uranio (o da plutonio, nel caso dei reattori cosiddetti “autofertilizzanti”) vengono spezzati dai neutroni emessi nel decadimento nucleare spontaneo e regolati per innescare una reazione a catena controllata al fine di rilasciare energia, successivamente utilizzata per la generazione di vapore e la produzione di elettricità tramite turbine ed alternatori.

Durante la fusione avviene il procedimento opposto: una volta create le condizioni opportune nuclei di elementi leggeri (come trizio e deuterio, isotopi dell’idrogeno) raggiungono uno stato della materia- il plasma- nel quale possono superare le forze repulsive e fondersi in un nucleo di elio, rilasciando più energia per unità’ di massa rispetto alla fissione. Questo è lo stesso processo alla base della generazione di energia nel Sole e nelle stelle. Tutto ciò potrà avvenire in virtù di tecnologie che garantiscono un processo intrinsecamente sicuro, in grado di estinguersi spontaneamente nel momento in cui vengono rimosse le condizioni che lo sostengono, tra le quali la presenza degli intensi campi magnetici per il confinamento del plasma all’interno dell’impianto.

Il contesto

La fusione a confinamento magnetico promette una vera e propria rivoluzione in campo energetico perché, una volta sviluppata a livello industriale, permetterebbe di avere a disposizione una fonte di energia pulita, sicura e praticamente inesauribile. In un’ottica di innovazione profonda, che possa condurre nel medio termine a disporre di una forma di energia sicura, pulita, a zero emissioni di CO2 e a bassissimo consumo di combustibile, perciò perfettamente coerente con gli obiettivi di trasformazione del mix energetico e di sostenibilità che caratterizzano la transizione energetica, Eni ha avviato da tempo un programma che prevede impegni su più fronti:

Partecipazione in Cfs (Eni è azionista di Cfs dal 2018);

Collaborazione ad un programma scientifico direttamente con il Mit, denominato Lift (Laboratory for Innovation in Fusion Technology) volto ad accelerare l’individuazione di soluzioni in termini di materiali, tecnologie superconduttive, fisica e controllo del plasma);

Partecipazione al progetto Dtt (Divertor Tokamak Test facility) lanciato dall’Enea, per l’ingegnerizazione e la costruzione di una macchina Tokamak di notevole rilevanza dedicata alla sperimentazione di componenti che dovranno gestire le grandi quantità di calore che si sviluppano all’interno della camera di fusione. Il know-how industriale e le competenze di gestione e sviluppo di grandi progetti, che caratterizzano i processi di innovazione in Eni, combinate con l’eccellenza della ricerca scientifica di Enea, saranno la chiave di successo per la realizzazione di questa importantissima iniziativa e dell’associata infrastruttura, basata primariamente su competenze e tecnologie italiane. Il progetto, in fase di realizzazione da Enea ed Eni presso il Centro di Ricerche di Frascati, pone ancora una volta l’Italia all’avanguardia internazionale nel campo della ricerca per ottenere energia pulita, sostenibile e sicura;

Collaborazioni con altre eccellenze italiane, che fanno parte da lunga data del network Eni, quali il CNR ed i principali atenei coinvolti in questo campo, che si realizzano anche nella creazione del Centro di Ricerca congiunto Eni-Cnr a Gela che ha come obiettivo principale quello di sviluppare competenze locali attraverso la promozione di Dottorati di ricerca e attivazione di Grant per la modellazione dei fenomeni fisici e degli elementi di progettazione ingegneristica nel campo dei reattori a fusione.

Integrazione industriale

Lo sviluppo della fusione a confinamento magnetico è una sfida di livello mondiale che coinvolge molte eccellenze internazionali in ambito scientifico-tecnologico e industriale, dove ognuno sta mettendo la sua esperienza e le sue competenze al servizio di una tecnologia rivoluzionaria. Per quanto riguarda Eni, oltre a collaborare con importanti enti di ricerca, l’azienda ha messo a disposizione dei ricercatori il supercalcolatore HPC5 che, con la sua grande potenza di calcolo, permette di utilizzare modelli matematici molto complessi per descrivere la fisica del plasma e simularne il comportamento.

Quando la fusione sarà diventata tecnologicamente matura da poter essere utilizzata a livello industriale si aprirà uno scenario inedito in cui, finalmente, potrà essere garantita una fornitura estesa di energia pulita, sicura e sostenibile. Centrali elettriche alimentate da reattori a fusione potranno soddisfare la crescente richiesta di energia di grandi insediamenti produttivi e urbani, mantenendo una elevata sostenibilità. Impianti di dimensioni più piccole, integrati con le fonti rinnovabili, potranno al tempo stesso facilitare l’alimentazione energetica di piccole comunità e realtà off-grid.

Ambiente e decarbonizzazione

L’energia prodotta dal processo di fusione è virtualmente infinita, sicura e a zero emissioni di gas climalteranti e di inquinanti. Basti pensare che un grammo di combustibile per la fusione contiene l’energia equivalente a quella di oltre 60 barili di petrolio, senza che questo comporti il rilascio di gas serra. La strada verso questa tecnologia rivoluzionaria è lunga, ma percorrerla significa puntare verso un futuro sostenibile.

 

I piani dei comuni italiani al 2030 per lo sviluppo di piste ciclabili

(Fonte: openpolis.it, 24/06/2021)  Negli ultimi anni, il tema della mobilità sostenibile ha acquisito un maggior peso nel dibattito pubblico. Questa crescente attenzione è dovuta a due motivi, in particolar modo. Da una parte, la maggiore sensibilità verso il cambiamento climatico ha fatto sì che molte più persone scelgano alternative maggiormente ecologiche rispetto al proprio mezzo personale, per esempio gli autobus a zero emissioni o i servizi di car e bike sharing, che spesso propongono anche auto ibride.

Una delle principali cause del cambiamento climatico è l’elevata presenza di gas serra nella nostra atmosfera. Sono numerose le attività umane che liberano questi agenti nell’aria, tra queste l’utilizzo di vetture a motore. Vai a “Che cos’è il cambiamento climatico”

Dall’altra parte, si sta diffondendo una domanda di turismo e tempo libero che privilegia la scoperta dei territori con mezzi ecologici. Infatti, esplorare una città o un paese in bicicletta incentiva un’esperienza di mobilità innovativa permettendo di vedere angoli cittadini che in macchina non sarebbero accessibili. Inoltre, una maggiore offerta di questo servizio assieme alla presenza di una pista ciclabile rende lo spostamento con questo mezzo, oltre che più ecologico, anche più sicuro e piacevole.

Tuttavia, la situazione italiana denota delle differenze regionali non marginali per quanto riguarda l’offerta di piste ciclabili.

Le piste ciclabili nei capoluoghi italiani

Nel 2018, ci sono in media 23,4 chilometri di piste ciclabili per 100 chilometri quadrato di superficie nei comuni italiani capoluogo di provincia. Un valore che nel corso degli ultimi 5 anni è aumentato considerevolmente. Infatti, nel 2013 il chilometraggio non raggiungeva i 20 km ogni 100 kmq. Tuttavia, nonostante la crescita del chilometraggio e una maggiore sensibilizzazione nazionale verso le questioni ambientali, si assiste a una spaccatura tra i capoluoghi del nord Italia rispetto a quelli del centro e del sud.

56,3 km di piste ciclabili ogni 100 kmq di superficie dei capoluoghi del nord Italia. 

Questo valore cala notevolmente già nei capoluoghi del centro della penisola con 14,8 km di ciclabili ogni 100 kmq, ma scende ulteriormente nel mezzogiorno, fino a 5,2 km.

Boom di piste ciclabili nelle province del nord Italia

Numero di chilometri di piste ciclabili presenti ogni 100 kmq di superficie territoriale nei capoluoghi italiani (2018)

Nel 2018, Padova ha più di 180 km di piste ciclabili ogni 100 kmq, il dato più alto in Italia. Seguono Brescia (167,9 km), Mantova (164,4 km) e Torino (159,2 km). Padova, seppur con il tasso di chilometri più alto, ha assistito a un aumento dal 2013 di soli 7,6 km ogni 100 kmq. Tra i capoluoghi con la crescita più consistente ci sono Brescia (+36,6 km ogni 100 kmq), Milano (+29,7 km) e Pescara (+29,1 km). Dati molto incoraggianti a fronte di un aumento nazionale di solo +3,5 km ogni 100 kmq.

32,8 km di piste ciclabili ogni 100 kmq nei capoluoghi di città metropolitane nel 2018, con un aumento di quasi +6 km rispetto al 2013. 

I capoluoghi di provincia del sud invece hanno ancora poche piste ciclabili. Tra questi Viterbo nel 2018 aveva solo 0,2 km di piste ciclabili ogni 100 kmq. Seguono Ragusa, Matera e Avellino che non raggiungono neppure 1 km ogni 100 kmq. Il capoluogo lucano è tra le 7 città, tra quelle considerate, in cui si è assistita una riduzione delle piste negli ultimi 5 anni. Infatti, tra queste sono incluse Taranto (-0,3 km ogni 100 kmq), Matera (-0,7 km), Roma (-1,2 km), Massa (-1,6 km), Trani (-1,7 km), Pordenone (-7,3 km) e Lodi (-7,7 km).

Questi dati potrebbero essere variati nel corso degli anni successivi, in coerenza con gli incentivi del governo in questa direzione. Infatti, nel 2020 è stato promosso l’eco bonus all’interno del decreto rilancio volto a incentivare anche l’acquisto di bici. Questa misura potrebbe aver favorito anche una maggiore richiesta di piste ciclabili. A tal proposito Legambiente ha svolto un’indagine confrontando i dati pubblicati dalle amministrazioni locali nei piani urbani di mobilità sostenibile del 2019 e le iniziative comunali avviate nel 2020.

La programmazione nei piani comunali

Nell‘ultimo report di Legambiente dedicato al progetto “Covid lanes”, viene analizzato l’impatto che la pandemia ha avuto sulla mobilità sostenibile delle biciclette. Nel dossier si approfondisce sia la nascita del nuovo fenomeno delle piste ciclabili pop-up che gli interventi pianificati nell’ultimo piano urbano per la mobilità sostenibile.

193,92 km di piste ciclabili pop-up realizzati nelle grandi città italiane nel 2020. 

Per ciclabili pop-up si fa riferimento a corsie riservate alle bici realizzate in brevi tempi e a costi contenuti. Sono caratterizzate da interventi leggeri (con segnaletica orizzontale e verticale) lungo gli assi prioritari e coprono tendenzialmente le tratte più frequentate. È uno strumento urbano volto a definire gli spazi necessari per poi dotarli di protezioni e passaggi esclusivi, con l’obiettivo di trasformarli nei mesi successivi in vere ciclabili. Solo nel 2020 a Milano sono stati realizzati 35 km di piste di questo tipo e a Genova 30 km.

Oltre a questa misura attuata in un periodo di crisi e non programmata, ci sono anche i piani urbani di mobilità sostenibile (Pums), documenti di pianificazione degli interventi volti a favorire la mobilità sostenibile. I Pums hanno solitamente una visione e una lista di provvedimenti da realizzare nel corso dei successivi 10 anni.

Più di 700km di pista ciclabile a Bologna entro il 2030

Chilometri di pista ciclabile già esistenti e quelli programmati nel piano per la mobilità sostenibile del 2019 nelle grandi città italiane

Negli ultimi piani di programmazione redatti dalle città considerate sono previsti oltre 2.600 km di piste ciclabili, che si aggiungerebbe ai già presenti 2.341 km. Bologna è la città italiana che, considerando il Pums del 2019, ha programmato il chilometraggio maggiore di ciclabili, pari a 721 km. Questi, una volta realizzati, si andrebbero a sommare ai già presenti 248 km, per un totale di 969 km di pista ciclabili da realizzarsi entro il 2030. Considerando i piani redatti, Roma è la seconda città con 293 km di pista ciclabili programmati che si aggiungerebbe ai già esistenti 254 km nel caso venissero eseguiti, come previsto entro il 2030. Seguono Milano con 186 km programmati e 220 km già realizzati e Parma con 170,5 km che verranno realizzati.

Il Pums è uno strumento di programmazione previsto nel quadro europeo, che ne detta le linee guida. 

Nel complesso, le città che hanno previsto la realizzazione del maggior numero di chilometri di piste ciclabili sono situate ancora nel nord e centro Italia. Napoli è la settima città, tra quelle considerate, e la prima del sud con 163 km previsti dal Pums.

Tra le città con il numero più basso di chilometraggio programmato, Genova si trova nell’ultima posizione. Infatti, il comune nell’ultimo pums ha previsto 18 km di pista ciclabile, un dato estremamente basso se paragonato ai precedenti. Inoltre, Genova è anche tra i comuni con il numero più basso di piste ciclabili attualmente esistenti, pari a 11,4 km. Ovviamente in questo caso specifico influisce notevolmente la morfologia collinare del territorio, soprattutto nel centro.

 

La Svizzera rilancia gli incentivi sulle rinnovabili per sostenere la transizione energetica

 

(Fonte: tvsvizzera.it, 18/06/2021) A tre giorni dal “no” alla legge sul CO2, Simonetta Sommaruga non sembra a corto di energia. La consigliera federale ha infatti presentato oggi una legge che  vuole garantire l’approvvigionamento elettrico del Paese grazie al rafforzamento delle energie rinnovabili.
Il progetto mira a rafforzare il potenziamento delle energie rinnovabili indigene e la sicurezza di approvvigionamento in Svizzera, con un attenzione particolare ai mesi invernali, ha spiegato in conferenza stampa la responsabile del Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni (DATEC) .

“Vogliamo che venga prodotta in Svizzera molta più energia pulita”, ha detto la consigliera federale illustrando i punti del progetto, assicurando inoltre che il processo di “decarbonizzazione” – soprattutto a medio e lungo termine – proseguirà. A suo avviso, la legge è completa, estesa a più ambiti e include numerosi aspetti. “È importante procedere con il potenziamento: rafforzando la sicurezza dell’approvvigionamento, rafforziamo anche la posizione della Confederazione”, ha affermato, aggiungendo che “non c’è tempo da perdere”.

Per raggiungere gli obiettivi della Strategia energetica 2050 e della strategia climatica della Svizzera a lungo termine, ha indicato il Consiglio federale in un comunicato, “serve un’ampia elettrificazione dei settori trasporti e calore”. Inoltre, in futuro l’utilizzazione e il potenziamento delle reti elettriche deve diventare più efficiente sotto il profilo dei costi.

Obiettivi vincolanti per il 2035 e il 2050

In futuro, ha auspicato Sommaruga, la legge federale sull’energia comprenderà obiettivi vincolanti per gli anni 2035 e 2050: vi figurano ad esempio il potenziamento della forza idrica e di altre energie rinnovabili, ma anche la riduzione del consumo di energia (e anche di elettricità) pro capite.

Il progetto presentato oggi vuole prorogare fino al 2035 gli attuali strumenti di promozione, che scadono nel 2022 e nel 2030. A pochi giorni di distanza da una discussione in materia del Consiglio nazionale durante la sessione appena conclusasi, l’Esecutivo ha citato in particolare il sostegno tramite gare pubbliche per grandi impianti fotovoltaici, l’introduzione di contributi di investimento al posto del sistema di rimunerazione per l’immissione di elettricità (RIC) e la maggiore disponibilità finanziaria per i grandi impianti idroelettrici. Il finanziamento degli strumenti di promozione, ha evidenziato il Consiglio federale, si baserà anche in futuro su un supplemento rete pari a 2,3 centesimi/chilowattora.

I timori sull’approvvigionamento

Per quanto riguarda il capitolo approvvigionamento, il progetto pone le basi sia per garantire la stabilità della rete a breve termine, sia per fornire una maggior sicurezza di approvvigionamento a lungo termine pure nei mesi invernali. “Sappiamo che ci serve molta più corrente in inverno”, ha detto la ministra dell’energia.

L’abbandono delle discussioni sull’accordo istituzionale con l’Unione europea ha complicato i piani: “Probabilmente anche l’accordo sull’energia elettrica non potrà più essere concluso in tempo utile”, ha spiegato Sommaruga a nome del Consiglio federale, che ora ha coinvolto diversi attori – fra i quali DATEC, Swissgrid e la Commissione federale dell’energia elettrica (ElCom) – per analizzare le conseguenze a breve e medio termine per la sicurezza di approvvigionamento e la stabilità della rete, nonché per valutare possibili misure supplementari per garantire tale sicurezza a breve termine.

Oltre al mancato accordo quadro, pure l’abbandono del nucleare pone qualche quesito a livello di energia: per raggiungere e garantire l’autosufficienza dell’approvvigionamento in Svizzera, è necessario un incremento di 2 TWh della produzione di elettricità neutrale sotto il profilo climatico – oltre all’aumento mirato della produzione di elettricità rinnovabile (valore da raggiungere entro il 2050: 39 TWh contro l’attuale 24,2) – a cui si possa fare capo in modo sicuro anche nei mesi freddi.

Il Consiglio federale intende finanziare questi tipi di impianti – in particolare i grandi impianti ad accumulazione – attraverso un “supplemento invernale”: verrà riscosso dai consumatori un importo massimo di 0,2 centesimi/chilowattora, oltre all’introduzione di una riserva strategica per garantire disponibilità di energia anche verso la fine dell’inverno. “Tale riserva deve essere impiegata solo e unicamente se c’è il rischio di un’interruzione dell’approvvigionamento elettrico”, ha sottolineato Sommaruga.

Apertura del mercato elettrico

Secondo la consigliera federale, l’apertura totale del mercato elettrico – che consente modelli commerciali innovativi vietati nell’attuale regime di monopolio – rafforzerà la produzione di elettricità a partire dalle fonti rinnovabili.

I consumatori finali che producono la propria elettricità (cosiddetti prosumer), i produttori e i fornitori di energia elettrica ottengono così libertà importanti sotto il profilo economico. Tuttavia, ha chiarito il governo, “al fine di proteggere i piccoli consumatori – come le economie domestiche – da abusi di prezzo, anche in futuro verrà mantenuto il regime del servizio universale. In esso sarà offerto un prodotto elettrico composto esclusivamente da energia rinnovabile indigena”.

Oggi, 5 giugno, giornata mondiale dell’ecosistema

(Fonte: unric.org, 04/06/2021)   La Giornata Mondiale dell’Ambiente, che si celebra ogni anno il 5 giugno, è il più grande evento annuale delle Nazioni Unite per promuovere un’azione ambientale positiva, volta a sensibilizzare il mondo per la tutela del nostro pianeta. Dalla prima Giornata Mondiale dell’Ambiente nel 1974, l’evento è cresciuto fino a diventare una piattaforma globale per la sensibilizzazione pubblica sul tema dell’ambiente in oltre 100 Paesi.

La Giornata Mondiale dell’Ambiente 2021 sarà ospitata dal Pakistan e avrà come tema il “Ripristino dell’Ecosistema” nell’ambito della campagna “Reimagine. Recreate. Restore.” Quest’anno, la Giornata servirà anche per il lancio ufficiale del Decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino dell’Ecosistema 2021-2030. Gli hashtag ufficiali della Giornata sono #GenerationRestoration e #WorldEnvironmentDay. Le celebrazioni nei vari Paesi del mondo si svolgeranno con eventi virtuali e fisici.

Ripristino dell’Ecosistema

Quest’anno, la Giornata Mondiale dell’Ambiente sollecita un’azione urgente per far rivivere i nostri ecosistemi danneggiati.

Gli esseri umani stanno perdendo e distruggendo le fondamenta della propria sopravvivenza a un ritmo allarmante. Più di 4,7 milioni di ettari di foreste (pari a un’area più grande della Danimarca) vengono persi ogni anno.

Di conseguenza, la perdita dell’ecosistema sta privando il mondo di pozzi di assorbimento del carbonio come le foreste e le torbiere. Le emissioni globali di gas serra sono cresciute per tre anni consecutivi e il pianeta è sulla strada verso un cambiamento climatico potenzialmente catastrofico.

Riducendo l’habitat naturale per la fauna selvatica, abbiamo creato le condizioni ideali per il diffondersi degli agenti patogeni, compresi i coronavirus, come dimostrato dal COVID-19.

Eventi sul sito dell’UNEP e sui social media

La Giornata Mondiale dell’Ambiente darà il via al Decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino dell’Ecosistema: un grido di battaglia globale per fare in modo che tutti – governi, aziende e cittadini – facciano la loro parte per curare il nostro pianeta malato.

  • Il Decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino dell’Ecosistema (2021-2030) sarà inaugurato ufficialmente attraverso un evento virtuale che si terrà il 4 giugno alle 13.00, UTC. L’evento comprenderà un programma vivace e dinamico a cui prenderanno parte alti dignitari, che annunceranno i loro impegni per il Decennio, celebrità, esperti di ripristino ecologico, capi delle comunità indigene, scienziati, poeti. Ci saranno inoltre spettacoli musicali e riproduzioni visive di storie virtuose di ripristino.

I relatori confermati includono:

      • Il Segretario Generale dell’ONU António Guterres
      • Il Primo Ministro del Pakistan che ospiterà la Giornata Mondiale dell’ambiente Imran Khan
      • La Cancelliera della Germania Angela Merkel
      • Il Presidente della Repubblica Democratica del Congo e leader dell’Unione Africana- Felix Antoine Tshisekedi
      • Il Primo ministro delle Barbados Mia Mottley
      • Un messaggio da Papa Francesco
      • La Dott.ssa Jane Goodall
      • L’ambasciatrice di buona volontà dell’UNEP Gisele Bündchen
      • Performance musicali del cantante reggae Rocky Dawuni, DJ Don Diablo e molti altri ancora.

 

  • Ad accompagnare questo evento, ci sarà un rapporto sul ripristino globale dell’UNEP: Becoming #GenerationRestoration: Ecosystem Restoration for People, Nature and Climate,pubblicato il 3 giugno 2021. Il rapporto documenta il modo in cui il ripristino soddisfa bisogni variabili, mette in luce gli investimenti finanziari richiesti nel decennio a venire e i rendimenti attesi per le popolazioni e la natura.
  • Il Pakistan, Paese ospitante della Giornata Mondiale dell’Ambiente 2021, celebra il raggiungimento dell’obiettivo di un miliardo di alberi piantati come parte di un’iniziativa che prevede la semina di 10 miliardi di alberi. È atteso anche l’annuncio di una nuova alleanza globale per il ripristino dell’ecosistema insieme ad altri Paesi partner interessati, da finalizzare in seguito.
  • Questo annuncio farà parte dell’evento principale del Paese ospitante, avrà luogo al Jinnah Convention Center di Islamabad e sarà officiato dal Primo Ministro Imran Khan con la partecipazione di una serie di dignitari da tutto il mondo, tra cui Inger Andersen, Direttrice di UNEP, e alti funzionari della FAO, UN-Habitat, UNDP e altri, così come i governi di Germania e Arabia Saudita. L’evento includerà anche canzoni e video sul programma Ten Billion Tree Tsunami avviato dal Pakistan.
  • Quest’anno, la Giornata Mondiale dell’Ambiente ospita come interlocutrice la giovane poetessa Jordan Sanchez. Nata e cresciuta nel Bronx, a New York, la poetessa di origine portoricana, congolese e togolese, è stata finalista al Climate Speaks Program 2019. Si interessa principalmente alla giustizia ambientale, agli impatti sproporzionati del cambiamento climatico e dell’esposizione all’inquinamento atmosferico sulle persone di colore, un tema più che mai rilevante nel 2021. Pur essendo un argomento molto delicato, Jordan Sanchez è capace di affrontarlo parlando delle possibili soluzioni in modo ottimistico, come si può vedere nella sua ultima poesia. Per scoprire di più su Jordan Sanchez clicca qui.

Per ulteriori attività, consulta questa lista di eventiche saranno ospitati dall’UNEP e dai partner, con relatori di alto livello, gruppi di esperti, tour virtuali di prodotti e luoghi, Ambasciatori di Buona Volontà, Giovani Campioni della Terra, proiezioni di film, sessioni musicali e altri eventi che si svolgeranno in Pakistan.

L’idrogeno nei trasporti leggeri: un tema controverso

(Fonte: insideevs.it, Francesco Barontini, 29/04/2021)

Dalle parti di Wolfsburg sembrano non avere dubbi. Già a metà febbraio su Twitter il boss di Volkswagen, Herbert Diess, aveva affermato che l’auto a idrogeno non avrebbe avuto futuro. Oggi, in occasione del lancio della strategia Way to Zero – il piano della Casa per diventare carbon neutral – si torna ancora sull’argomento. E il succo del discorso resta lo stesso.

Le considerazioni sulle auto a fuel cell sono state lasciate in particolare al professor Maximilian Fichtner, docente di Chimica allo stato solido all’Università di Ulm e direttore dell’Helmholtz Institute per lo stoccaggio elettrochimico dell’energia. E le tesi esposte faranno sicuramente discutere.

Il caso tedesco

Tutto parte da un’affermazione che potrebbe sembrare provocatoria: “Le auto a idrogeno sono meno efficienti di quelle Diesel”, dice Fichtner. Una questione di efficienza generale secondo il professore. Considerando il parco auto tedesco del 2018, che si componeva di 47 milioni di auto, principalmente benzina e Diesel, in un anno l’energia consumata dal settore del trasporto privato ammontava a 751 TWh.

Se tutte quelle auto avessero avuto un powertrain a idrogeno la richiesta di energia sarebbe stata di circa 1.000 TWh. Questo perché, considerando tutta la catena (estrazione del petrolio, raffinazione, distribuzione e combustione vera e propria) i motori endotermici hanno un’efficienza media di circa il 20-24%, mentre la catena dell’idrogeno per i veicoli fuel cell non andrebbe oltre il 15-18%, sempre secondo Fichtner.

Viene da chiedersi: e se fossero stati 47 milioni di veicoli elettrici? Il consumo energetico dalle stime del professore si sarebbe attestato su valori compresi tra i 130 e i 170 TWh. Perché dalla produzione di energia al movimento dell’auto, le auto elettriche hanno un’efficienza di circa il 70%. Ma vediamo dove avverrebbero le varie perdite.

Gli sprechi dalla pala alla ruota

Quando si parla di un’auto elettrica, considerando la produzione di energia da fonti rinnovabili – nell’esempio di Fichtner dall’eolico – e partendo da un valore del 100%, non si hanno perdite durante la produzione e la lavorazione. Si ha una perdita di circa il 5% nella fase di trasporto, del 10-15% durante la ricarica della batteria e del 5-10% nell’alimentare il motore elettrico (che in effetti ha un’efficienza vicina al 90%). Facendo i conti, si parla di circa un 30% dissipato in calore e altri sprechi e di un 70% utile per far muovere l’auto.

Nel caso dell’idrogeno, per il professore il processo è molto più complesso. Del 100% dell’energia prodotta da una pala eolica, il 40% va perduto già per la produzione di idrogeno verde. A questo si aggiungerebbe un’altra percentuale variabile di spreco tra il 12 e il 40% per la lavorazione dell’idrogeno. Il 5% si perderebbe nel trasporto, il 30-40% durante il rifornimento, il 50% durante i processi chimici all’interno delle celle a combustibile e il 5-10%, come nel caso delle auto a batteria, sarebbe “sprecato” dal motore elettrico. Sommando tutte le perdite si arriverebbe ad avere un’efficienza dell’idrogeno non superiore al 15-18%.

Minori margini di miglioramento

Ci sono altre considerazioni da fare, quando si parla di idrogeno per il trasporto privato. “Dagli anni ’90 del secolo scorso – spiega Finchtner – l’idrogeno ha fatto molti passi in avanti, e ne farà ancora. Ma a differenza di quello che può accadere sulle batterie, ci sono dei limiti naturali allo sviluppo che mi fanno pensare che non si potrà fare tanto meglio di quello che stiamo già facendo. Tra questi limiti c’è la quantità di idrogeno verde che può essere prodotta. Al giorno d’oggi, in Germania se ne produce a sufficienza per alimentare alcuni settori industriali, come quello dell’acciaio, ma non ce n’è a sufficienza per le auto”.

Secondo Finchtner, l’idrogeno per il trasporto potrà essere utile in altri campi: nell’aviazione, ad esempio, o sulle navi, ma non è un’alternativa praticabile sul lungo periodo tra le auto, per una questione di carenza di approvvigionamenti e per una questione di efficienza.

I nodi secondo Fichtner

  • L’infrastruttura: si dice che un pieno di idrogeno è rapido e che in 5 minuti un’auto può fare un pieno. È vero, ma è anche vero che le cisterne presenti ai distributori devono essere riempite. Un camion potrebbe trasportare idrogeno sufficiente per 60/65 pieni e questo significa che servono almeno 5 camion al giorno per non arrestare i rifornimenti. Calcolando i tempi tecnici, si arriva ad una media di circa 40 pieni al giorno, che diventano 1 pieno ogni 35-40 minuti.
  • Costi: un SUV a idrogeno costerebbe più di 100.000 euro e verrebbe venduto al pubblico ad una cifra di molto inferiore, intorno 70/75.000 euro. Si capisce facilmente come non sia conveniente. A questo si aggiunge il fatto che per questioni di sicurezza, l’auto a idrogeno deve essere sottoposta a manutenzione frequente.
  • User friendliness: le auto a idrogeno non possono ancora accedere ai garage sotterranei per questioni di sicurezza. Inoltre, in caso di temperature rigide, perdono circa il 20-25% di efficienza.
  • Impatto climatico: le CO2 prodotte per far funzionare un’auto fuel cell possono arrivare ad essere anche il doppio di quelle imputabili a un’auto a gasolio.

Certo, questo è il punto di vista espresso nel convegno organizzato da Volkswagen. Ci sono altre correnti di pensiero, soprattutto a Oriente, dove si pensa che l’idrogeno abbia un futuro diverso. Si veda Toyota, ad esempio. E poi ci sono innovazioni che potrebbero rendere le fuel cell più efficienti, come dimostra lo stoccaggio del gas in una speciale pasta. Insomma, la lotta ai cambiamenti climatici passa da tante strade, vedremo quale sarà più veloce e quale più disseminata di insidie.

 

Il WWF chiede a Draghi una revisione coraggiosa del pnrr

(Fonte: italiaambiente, 18/02/2021)

“Il futuro del nostro Paese o sarà sostenibile, puntando decisamente e con coraggio sulla decarbonizzazione e l’arresto e l’inversione dell’emorragia di biodiversità terrestre e marina, o non sarà quello che meritano le future generazioni. Per il rilancio dell’Italia è necessario superare modelli economico produttivi incapaci di perseguire l’innovazione e le sfide ambientali. Questo per noi è la sostanza del messaggio di Draghi che apprezziamo e condividiamo e che secondo noi deve essere la guida per la revisione del Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR). Sembra iniziata una nuova era con un programma che nasce da una premessa di cambiamento, di rivoluzione nell’azione di governo. Un ‘Governo del Paese’, che mette al centro l’ambiente, il pianeta, il futuro sostenibile, con un approccio europeista”, dichiara la presidente del WWF Italia, Donatella Bianchi. Il WWF ribadisce a Draghi, nel ripensare il PNRR, come anticipato durante le consultazioni, quale principale strumento per assicurare la ripresa e  la resilienza del Paese, di intervenire principalmente sui seguenti assi:

a) assicurare che nel  Piano sia assegnato, come chiede l’Europa, almeno il 37% delle risorse complessivamente assegnate per il clima e la biodiversità, per azioni che includano ambiti trascurati nella proposta, ora all’esame del Parlamento, come il mare e le acque interne; b) delineare una strategia industriale dell’Italia basata sulle energie rinnovabili e sul rinnovamento dei processi produttivi, coerenti con i target di riduzione delle emissioni e con l’obiettivo di completa decarbonizzazione entro il 2050, assicurando che anche l’idrogeno sia verde e non uno strumento per prolungare l’uso dei combustibili  fossili; c) dare il via ad un grande piano per Riqualificare la Natura d’Italia, per tutelare le aree di maggior pregio naturalistico del nostro Paese e favorire le connessioni ecologiche, fermando la perdita della nostra biodiversità  (tra le più ricche d’Europa), sviluppando la blu e la green economy, introducendo, nel contempo, elementi di sostenibilità e di qualità in settori importanti per il rilancio del Paese, quali quelli del turismo, agricoltura e pesca. Una svolta quella indicata dal Presidente del Consiglio di cui dovranno essere protagonisti la politica come le imprese e i cittadini, sottolinea il WWF.

Il WWF, conclude, infine, di aver apprezzato la visione sistemica e trasversale, nonché l’analisi fatta nel discorso programmatico del Presidente Draghi oggi al Senato soprattutto quando ha dichiarato che per uscire dalla situazione attuale di emergenza c’è bisogno di una sfida poliedrica che affronti sia l’emergenza sanitaria che quella ambientale, che hanno favorito l’insorgere e il diffondersi del virus, sia quando ha sottolineato come sia necessario  intervenire assicurando che ci sia una giusta transizione del nostro sistema produttivo verso un modello di economia decarbonizzata e sostenibile e che nel futuro dell’Italia non ci deve essere solo “una buona moneta ma un buon pianeta”. È quest’ultima, per il WWF, la sostanza della transizione ecologica.