FRIDAY FOR FUTURE: QUESTA VOLTA NON CI SONO RIVINCITE (DI MARIO GUGLIOTTA A.D. GEA)

Friday for future è, senza dubbio, il più grande movimento giovanile mondiale di tutti i tempi. Una mobilitazione pacifica e politicamente trasversale che attraversa tutti gli strati sociali, che parte dai giovani ma coinvolge ogni persona ragionevole, che grazie alla figura di Greta Thunberg sta entrando nelle case e negli spazi decisionali di ogni nazione, specialmente di quelle occidentali.

Un articolo che ho letto pochi giorni fa abbozzava un parallelo interessante tra l’atteggiamento da parte della classe dirigente e degli adulti verso i movimenti politici del ’68, unico esempio mondiale precedente di mobilitazione giovanile di massa, e quelli verso i movimenti ambientalisti attuali. A giudicare allora c’erano da un lato i reazionari che vedevano i giovani hippie come un gruppo di facinorosi degenerati e dall’altro  gli accondiscendenti che, guardando di buon occhio alcune richieste, ritenevano che la tolleranza avrebbe ricondotto i giovani nei “ranghi”, qualcun’altro nel frattempo  utilizzava l’immagine e gli slogan del movimento a scopo commerciale. Un movimento eterogeneo, confuso e non organizzato che nessuno prendeva però sul serio aiutando i giovani in un percorso di maturazione politica. Una conseguenza fu che alla fine del periodo “spontaneo” molti di questi giovani, soprattutto quelli che si sentirono sconfitti nella Primavera di Praga o nelle foreste del Vietnam, abbandonarono la politica attiva o confluirono in movimenti rivoluzionari violenti.

Oggi i nostri giovani, mobilitati a difesa del loro diritto ad un ambiente migliore, confusi da slogan e previsioni catastrofiche, ma contemporaneamente pervasi dalle abitudini della società consumistica in cui sono cresciuti, vengono derisi dai negazionisti che, ad arte, tendono a denigrare la figura di Greta Thunberg, usandola come paradigma delle contraddizioni del movimento, o vengono coccolati dai media che li usano per coniare i loro bei titoli sui venerdì di protesta e la nuova coscienza ambientalista, nel frattempo le multinazionali fanno i conti su come gestire la transizione a proprio favore, mentre gli intellettuali e i leader politici si interrogano sulla natura dello stato “etico”. I discorsi seri e circostanziati sono invece relegati nei consessi di specialisti, nelle aule universitarie o nei dibattiti di tarda serata perché non bisogna turbare la massa dei consumatori.

I cambiamenti climatici sono figli dei nostri comportamenti e stanno prepotentemente entrando nelle valutazioni economiche delle Aziende e nei bilanci degli Stati. Emigrazione di massa, uragani, desertificazione, sono solo alcuni degli aspetti a cui seguiranno conseguenze economiche e cambiamenti sociali. Scenari apocalittici vedono la riduzione degli spazi vivibili e delle risorse indispensabili alla sopravvivenza, ma ancora prima ci saranno miscelazione di culture in fuga da aree ormai invivibili e conflitti per la difesa del territorio.  In questo scenario potrebbe innestarsi una forma di protesta radicalizzata e violenta da parte di chi si è sentito privato dalla speranza a causa dell’inerzia delle Istituzioni.

I giovani – ma anche chi giovane non è più – hanno il diritto e il dovere di protestare e di chiedere consapevolezza e non più parole. Prima si attuerà un piano di azione concreto sui temi ambientali, che incida anche sui nostri comportamenti, e prima si comincerà a combattere seriamente per un mondo migliore.

Figli e genitori insieme, questa volta dalla stessa parte della barricata. Non c’è un giorno migliore degli altri per cominciare, ma ogni giorno è quello giusto. Come ho già detto altrove, questa volta non ci sono rivincite.

SUMMIT ONU SUL CLIMA: UNA SFIDA CHE NON POSSIAMO PERDERE (di Mario Gugliotta)

E’ iniziato ieri il summit ONU sul clima, l’ennesima riunione mondiale dove i leader si stracceranno le vesti nel denunciare il cambiamento climatico incombente e proclamare piani di decarbonizzazione scritti a matita (tipica espressione romana per indicare promesse che potranno essere cancellate in ogni momento).

Il nostro premier Conte, nel corso del suo intervento, ha confermato che l’Italia vuole recitare un ruolo di primo piano nella lotta globale ai cambiamenti climatici, ricordando come nel nostro Paese si stia già attuando “uno dei programmi di decarbonizzazione più ambiziosi al mondo”.

Conte rivendica quindi un ruolo di leadership mondiale per la nostra bella Italia nella transizione energetica che dovrebbe portare nei prossimi 30 anni alla completa decarbonizzazione del mondo dell’energia.

Ma cosa intende il Primo Ministro per leadership mondiale? Come intende finanziare questo sforzo economico e tecnologico? Quanto è disposto a mettere in gioco della stabilità economica del nostro Paese? Come si articolerà questa transizione? Quale ruolo avrà il metano e, di conseguenza, quali le nuove infrastrutture legate a questo vettore energetico di transizione? Quali provvedimenti straordinari riguarderanno il revamping del parco rinnovabili esistenti? Si riuscirà ad armonizzare la tutela paesaggistica e ambientale con le richieste di nuove installazioni eoliche, idroelettriche e fotovoltaiche? Esiste, insomma, un piano di attuazione reale o ci si affiderà, come spesso accade, all’estro italico e alla buona sorte?

In questi ultimi 25 anni abbiamo assistito al passaggio di numerosi treni carichi di opportunità che, molto spesso, sono sfrecciati via a causa della mancanza di programmazione a medio e lungo termine o semplicemente per mancanza di senso di responsabilità.

I giovani, riuniti intorno alla ragazza simbolo della lotta ai cambiamenti climatici Greta Thunberg, stanno chiedendo una presa di responsabilità da parte di tutti i governi, stanno chiedendo azioni e non più parole. Loro possono solo chiedere, le Istituzioni hanno il dovere di rispondere con i fatti. Dalla lotta ai cambiamenti climatici non potremo uscire perdenti, non potrà esistere una rivincita.

ING. MARIO GUGLIOTTA (A.D. GEA): “UN PROGRAMMA DI GOVERNO MOLTO AMBIZIOSO”

Un programma di governo, se pur in bozza, molto ambizioso.

Già l’attuazione di pochi dei 26 punti contenuti farebbe di questo Governo, se nascerà, uno dei più importanti della recente storia della seconda Repubblica.

Per chi come me, che della difesa dell’ambiente e della produzione di energia rinnovabile ne ha fatto una professione da quasi trent’anni, il cosiddetto Green New Deal riportato al quinto punto non è che l’ennesima enunciazione di principio forse questa volta un po’ più consapevole.

Cosa ci può rendere ottimisti? Per prima cosa, dopo anni di alti e bassi dell’attenzione pubblica e politica alle tematiche “verdi”, finalmente si assiste oggi ad una ripresa della coscienza ambientalista dell’elettorato che, gioco forza, condizionerà i programmi politici dei partiti. La consapevolezza che i problemi ambientali sono anche problemi economici e di sicurezza (non ultimo per via dei processi migratori legati alla desertificazione dell’Africa) dovrà obbligatoriamente spingere l’Italia, l’Europa e il Mondo intero verso nuovi investimenti in tecnologie e infrastrutture sostenibili e nella ricerca scientifica. L’Italia, per la dimostrata capacità tecnologica e imprenditoriale, potrà essere apripista in Europa chiedendo, attraverso il nostro Governo, di eliminare dai vincoli di bilancio tutti gli investimenti tendenti all’abbattimento delle emissioni, alla riduzione del rischio idrogeologico, alla tutela del suolo, dell’acqua e delle biodiversità, alla cura dei boschi e alla conversione a verde di aree a rischio desertificazione.

Un altro fronte su cui operare è quello della semplificazione e della stabilità normativa di settore che, ben inteso, non deve significare deregulation. Chiedere decine di pareri ad Enti disparati per realizzare o modificare un impianto fotovoltaico, eolico o biomasse, riempie la strada degli imprenditori di ostacoli e tranelli spesso incomprensibili o pretestuosi, creando i presupposti dell’illegalità. Linee guida semplici e chiare, quindi, ma senza sotterfugi, condoni e interpretazioni ad personam.

Infine i rifiuti. In questo caso la parola d’ordine dovrebbe essere la consapevolezza. Raccolta differenziata, impianti di recupero, inceneritori, discariche sono tutti elementi di una filiera da conoscere e non demonizzare. Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi o, soprattutto, complicati. Siamo tutti partecipi di questo sistema, prima di tutto con i nostri comportamenti quotidiani, e non possiamo chiudere gli occhi per non vedere come stiamo avvelenando il nostro mondo. Esistono tecnologie e procedure per gestire al meglio  il ciclo dei rifiuti nella piena compatibilità ambientale, non sarà gratis ma è un investimento per il futuro nostro e dei nostri figli e nipoti. (Mario Gugliotta)

REGIONE LOMBARDIA: STABILITI I CRITERI CHE DEFINISCONO IL BIOMETANO DA RIFIUTI QUALE PRODOTTO (di Mario Gugliotta)

La Regione Lombardia rompe gli indugi e con Decreto Dirigenziale finalmente pone fine alla diatriba sulla natura di prodotto del biometano da rifiuti. Una presa di posizione netta, seguita a quella già presa nei mesi scorsi dalla Città Metropolitana di Milano che rivendicava la facoltà di autorizzare impianti per la produzione di biometano da rifiuti, che rifacendosi al DM 2/3/2018 sulla “promozione dell’uso del biometano e degli altri biocarburanti avanzati nel settore dei trasporti” ha di fatto decretato, senza attendere ulteriori normative a livello nazionale o comunitario sulla filiera dell’End of Waste”, che i criteri individuati nel suddetto DM sono sufficienti a definire il biometano da rifiuti quale “prodotto” e non più “rifiuto”. Sembra assurdo come sia facile riempire pagine di giornali con articoli sull’economia circolare, sull’end of waste, sull’energia rinnovabile o sull’efficienza energetica e poi ci si imbatte nell’inerzia di alcune Istituzioni che ritardando o rinviando l’emanazione dei provvedimenti necessari all’attuazione dei programmi di tutela ambientale su cui il Governo e le forze politiche si sono impegnate a livello nazionale e internazionale, pongono un freno ingiustificato allo sviluppo di settori così importanti e vitali. Un plauso quindi alla Dirigente del Settore Ambiente e Clima della Regione Lombardia, dott.sa Elisabetta Confalonieri, per la chiarezza delle idee e la capacità decisionale.

DECRETO DIRIGENZIALE REGIONE LOMBARDIA

GSE: PUBBLICATO IL RAPPORTO DELLE ATTIVITA’ 2018 di Mario Gugliotta

E’ stato appena pubblicato dal GSE (Gestore dei Servizi Energetici) il rapporto delle attività del 2018. A parte i valori assoluti in crescita dell’energia elettrica rinnovabile prodotta in Italia, per un totale di 117 TWh, è interessante sottolineare l’incremento della produzione di energia rinnovabile in confronto ai costi addebitati in bolletta (la vecchia componente A3): a fronte di una crescita dell’energia immessa di circa + 10% sul 2017, si assiste nello stesso periodo ad una riduzione di circa 0,8 miliardi di euro di incentivi erogati. I motivi sono ovviamente da legare in gran parte a molti contratti CV (Certificati Verdi) e Cip6 (il primo e più vecchio sistema di incentivazione varato nel 1992) arrivati a scadenza naturale. Gli incentivi distribuiti sono stati pari a circa 15,4 miliardi di euro, la parte del leone, con 11,6 miliardi, l’hanno fatto le FER elettriche nonostante i ritardi sull’emanazione del nuovo decreto di incentivazione. I biocarburanti, su cui si punta molto per il futuro energetico nazionale, hanno raccolto circa 0,6 miliardi di euro mentre ancora al palo ci sono l’efficienza energetica e le rinnovabili termiche (1,7 miliardi) su cui si aspetta un intervento normativo di rilancio. Infine 1,4 miliardi sono stati destinati all’Emission Trading (il principale strumento adottato dall’Unione europea per raggiungere gli obiettivi di riduzione della CO2 nei principali settori industriali, sistema che è stato introdotto e disciplinato nella legislazione europea dalla Direttiva 2003/87/CE).

RAPPORTO GSE 2018

AMBIENTALISTI NEL 2000 (di Mario Gugliotta)

Sono trascorsi pochi giorni dalla grande manifestazione mondiale contro i cambiamenti climatici e già il tema comincia a scomparire dalle prime pagine dei giornali. E’ sempre bello vedere le piazze gremite di gente che chiede di partecipare alle decisioni politiche che riguardano il proprio futuro e credo che una mobilitazione continua e fattiva sarebbe auspicabile.

L’ambientalismo cambia, si evolve, così come nel tempo è cambiata la percezione del mondo che ci circonda.

È ormai passato quasi un secolo da quando, nel 1922, è stato istituito il Parco Nazionale D’Abruzzo, forse il primo esempio in Italia – e tra i primi nel mondo – di intervento sostanziale a tutela dell’ambiente. L’ambientalismo, quindi, visto come difesa fisica della natura contro l’ingerenza umana, difesa della flora e della fauna dall’espansione delle città e delle infrastrutture, dello sfruttamento del suolo a scopi lucrativi o residenziali, del disboscamento per l’espansione dell’agricoltura o la produzione di combustibile legnoso. Una natura quindi statica, da preservare per la sua biodiversità e per la sua intrinseca bellezza.

L’ambientalismo, nel secondo dopoguerra, ha poi seguito vari filoni ispirati dal movimentismo del momento restando per un lungo periodo però legato allo stesso concetto di natura “cartolina”, percepita attraverso i sensi più che dalla ragione. Salvare le balene dalla pesca d’altura o gli uccelli di passo dalle mattanze dei cacciatori, fermare la cementificazione delle spiagge o l’invasione delle colline dalle pale eoliche, no agli inceneritori e alle discariche, etc.

Oggi la coscienza ambientale è cambiata. Si è capito che il nuovo nemico dell’ambiente è subdolo, microscopico o addirittura invisibile. Si può chiamare anidride carbonica, microplastica, antibiotici, nitrati, metalli pesanti, e a produrli e immetterli nell’ambiente siamo tutti noi direttamente o indirettamente, spesso anche inconsapevolmente. Per questo la sfida di tutti noi – una sfida non solo ambientalista -è oggi più difficile e necessita di molte più competenze e impegno. Si prende finalmente consapevolezza che le balene e i pesci muoiono a causa dell’inquinamento degli oceani da plastica, che gli uccelli cambiano abitudini a causa dell’attività antropica e per l’inquinamento, che l’eccesso di consumo di carne non fa male solo alla nostra salute ma anche alla natura, che molte spiagge spariranno per l’innalzamento delle maree dovute al global warming, che quella pala eolica sulla collina non è così brutta perché è una risposta all’uso dei combustibili fossili, che l’impianto di compostaggio nel nostro back yard aiuta a restituire correttamente carbonio alla terra impoverita. Abbiamo capito che tutti noi liberiamo microplastiche nell’ambiente insieme agli scarichi del nostro bucato, che bruciare la legna nel caminetto è romantico ma non ambientalmente corretto, che per dar da mangiare a una popolazione in continua crescita c’è bisogno di una nuova cultura agricola (e alimentare).

Intanto la politica nazionale e internazionale cosa fa? Si potrebbe usare una frase di Don Raffaele, nella nota canzone di De Andrè: si costerna, si indigna, si impegna, poi getta la spugna con gran dignità. Si, perché questa è la triste risposta, ogni decisione rischia di rimanere invischiata nella logica commerciale del minor prezzo, nel ricatto trumpiano negazionista, nel pragmatico bilancio costi/benefici. Si rimandano soluzioni impegnative in attesa di tempi migliori, senza immaginare che i tempi migliori forse sono già alle nostre spalle. Paesi lungimiranti investono gli utili economici della devastazione ambientale nelle nuove tecnologie,mentre politiche miopi e conservatoristiche fanno perdere all’Europa e all’occidente il ruolo di leadership nella lotta per un futuro migliore.

Essere ambientalista negli anni 2000 è un impegno necessario per tutti, nella nostra piccola o grande attività quotidiana, un impegno che non sarà gratuito né in termini economici né di partecipazione attiva con l’esempio, la dedizione e la consapevolezza. E in questo scenario è inevitabile che i player principali saranno ancora le grandi industrie, spesso le stesse che hanno alimentato la cosiddetta economia lineare ovvero l’opposto dell’economia circolare, a cui noi tutti dovremo contrapporre un consumo consapevole e qualche sacrificio. Si tratta ora di scalare un monte fatto di abitudini e di un retaggio culturale non più accettabile: i ragazzi ci hanno detto chiaramente di essere pronti col cuore ma non hanno competenze né potere decisionale. Tocca a noi affiancarli  da “buoni  capaci e realmente responsabili ” padri di questa unica grande famiglia.

LA REVISIONE DELLE CONCESSIONI PASSA ATTRAVERSO UNA CORRETTA GESTIONE DEI MONOPOLI (di Mario Gugliotta)

Lo scorso 12 ottobre, quindi ben prima delle ultime elezioni politiche, pubblicammo un post critico sull’acquisizione di una ESCO da parte di TERNA SpA, ovvero la società a controllo pubblico che gestisce la rete elettrica di trasmissione nazionale. TERNA, di fatto, gestisce in regime di monopolio la rete di Alta Tensione a tariffe prefissate da ARERA (già AEEGSI) che gli consente un fatturato di circa 2,25 miliardi di euro (MLD) e un EBIT (Erning Before Interest and Taxes, ovvero utili prima di interessi e tasse) di ben 1,07 MLD, ovvero oltre il 30% dei ricavi.

In questi giorni, a causa dei tragici eventi di Genova, l’attenzione politica e mediatica si è ovviamente concentrata sulle concessioni e sui monopoli che lo Stato gestisce direttamente ma, soprattutto, su quelle che dà in gestione a società private, e su quale sia la giusta remunerazione che il gestore di un monopolio in concessione si possa o debba attendere. Media e Social hanno fatto un gran parlare sulla concessione di Autostrade per l’Italia SpA che, con un fatturato di circa 3,7 MLD, ha prodotto un EBIT di oltre 1 MLD, pari al 26% dei ricavi, inferiore statisticamente ai risultati di TERNA.

Non vogliamo, né possiamo (per quanto ci piacerebbe), entrare nel merito politico, tecnico e contrattuale, né nel percorso avviato per la nazionalizzazione o “rinazionalizzazione” di alcuni servizi o infrastrutture, ma di certo il discorso della revisione delle concessioni passa anche attraverso la corretta gestione dei monopoli che, anche quando sono gestiti dallo Stato, non sempre garantiscono l’equa distribuzione di utili in proporzione al rischio dei capitali investiti o già ammortizzati, sempre comunque a danno (economico ma, purtroppo, anche fisico) degli utenti. La storia ci avrebbe dovuto insegnare che se il “controllore” e il “controllato” (in termini sia tecnici sia economici) sono affini, difficilmente l’utente potrà trarne vantaggio. Ma se esistono ragioni strategiche di rilevanza nazionale, che obbligano o inducono lo Stato a intervenire nel mondo industriale ed economico, è necessario e obbligatorio, direi, che siano ben chiare le responsabilità e definiti gli ambiti di intervento, anche temporali, per non creare squilibri nel rapporto domanda/offerta a scapito delle Aziende private. Chi ne trarrà vantaggio, oltre a un’innegabile libertà d’impresa, sarà sempre il cittadino che vedrà tutelati i propri diritti di consumatore, attraverso l’applicazione di tariffe eque e la garanzia di un servizio di qualità.

CONOSCETE DAVVERO LE GRANDI AZIENDE ITALIANE? (di Mario Gugliotta – AD Gea srl)

In questi giorni si fa un gran parlare delle nomine ai vertici delle grandi aziende nazionali a partecipazione pubblica, dalla Cassa Depositi e Prestiti, alla RAI o alle FS. Tante Aziende, una quarantina, che devono rinnovare il CdA in scadenza o già scaduto e che vedono impegnato il Governo in trattative serrate per scegliere al meglio i nuovi amministratori e consiglieri. Ma quanto valgono le principali Aziende pubbliche o a partecipazione pubblica in termini di fatturato? Escludendo la Cassa Depositi e Prestiti che è una istituzione finanziaria, diamo qualche numero ricavato da una semplice ricerca su internet. Le aziende dei trasporti, ANAS e FS – cioè le Aziende che fanno muovere gli italiani – fatturano rispettivamente 1,8 e 9,3  miliardi di euro (Mld). La RAI, prima azienda culturale italiana, vale un fatturato di 2,8 Mld. Più alto è il fatturato di Poste Italiane che arriva a circa 30 Mld. La parte del leone la fanno le aziende del settore energia: l’ENI 55 Mld e l’ENEL ben 75 Mld, entrambe però quotate in Borsa e quindi parzialmente fuori dalla semplice logica politica di spartizione. Un ruolo importante tra le aziende a totale controllo pubblico ce l’ha invece il GSE SpA (Gestore dei Servizi Energetici), ovvero la società di Stato che, principalmente, gestisce l’erogazione degli incentivi alle energie rinnovabili e al risparmio energetico. Sapete a quanto ammonta il fatturato? A ben 30 miliardi di euro (dato di bilancio 2016). Mentre i media ci informano quotidianamente sullo sviluppo nelle nomine in RAI o in FS, meno risalto viene dato ad un settore fondamentale per l’economia nazionale, per la sicurezza energetica e per gli impegni assunti in sede internazionale dall’Italia, la nomina del nuovo CdA del GSE, una società che gestisce il triplo del fatturato delle Ferrovie dello Stato o 12 volte quello della televisione pubblica. Perché non se ne parla mai? Forse perché è un tema noioso per soli adepti, o forse perché per gestire un’azienda come il GSE servono competenze e non basta l’appartenenza politica? Di fatto aspettiamo la nomina del successore del dott. Sperandini che dovrebbe avvenire in occasione della prossima assemblea convocata per il 2 agosto. Da operatori del settore non possiamo che augurarci una nomina competente e lungimirante, che ridia ascolto ad un settore che da anni aspetta il rilancio. Il combinato disposto tra il rispetto degli impegni, l’aggiornamento e l’attuazione della SEN, nonché il dare risposta ad un mercato pronto ad un nuovo balzo in avanti, fa del GSE un Ente fondamentale per i prossimi anni, che dovrà gestire e stimolare il percorso di decarbonizzazione attraverso una transizione energetica sostenibile. Sarebbe quindi importante (e per alcuni anche interessante) dare la giusta attenzione mediatica al dibattito politico che porterà a questa nuova nomina.